Giorno #7: Fuga.



Ci sono. Stanco, coi polmoni incendiati, spaventato. Ma ci sono.
Ho dovuto attendere che smettesse di nevicare, prima di attuare il mio piano. Non è successo prima delle 13. Ho avvolto il mio vecchio stereo portatile nel tappetino che usavo a ginnastica correttiva da piccolo e ho legato quella specie di salsicciotto con un pezzo di spago: ho svuotato tutti i telecomandi di casa, per trovare le otto pile necessarie a farlo funzionare. Dato che tutte le stazioni radio sono fuori uso, ho recuperato una vecchia musicassetta dall'armadio di mia madre che penso funzionerà anche dopo la caduta: una compilation di Jimmy Fontana.
Ho aperto la finestra piano, senza far rumore: i soliti tre zombie erano lì, in attesa, con cumuli di neve sulle spalle e sulla testa. Ho schiacciato “play” e lanciato il più lontano possibile lo stereo che è rimbalzato sul selciato innevato ed è rotolato per qualche metro verso la rotonda che porta a Chiasso: per qualche secondo ho pensato che si fosse rotto, ma le note basse dell'intro di “Il mondo” hanno presto lasciato spazio alla voce di Jimmy. Nel giro di una ventina di secondi sono apparsi cinque, dieci, trenta zombie dalle vie di Pedrinate, e ho riconosciuto vicini, ex compagni di scuola, perfino una ex. È stato come far cadere un pezzo di pane burro e marmellata davanti a un formicaio. Agghiacciante.
Mi sono scosso dal torpore dopo una decina di secondi. Ho recuperato lo zaino, infilato nella cinta il forchettone e il bastone d'hockey e ho aperto la porta dell'appartamento: non c'era nessuno né lì davanti, né sulla tromba delle scale. Sono sceso più veloce che potevo e sono uscito dal retro. La situazione sembrava sotto controllo, anche se sentivo i versi e gli urli della fiumana radunata sulla strada. Ho superato il recinto delle galline e la casa dei vicino, lungo un sentiero in salita che costeggiava un vitigno. C'era uno di quei cosi, impigliato tra i fili di ferro, a nemmeno tre metri da me: allungava le braccia e spingeva la fronte contro il cavo, digrignando i denti.
Ho aumentato il passo.
Sentivo ancora distintamente la canzone, era ormai al ritornello finale. Sulla mia sinistra è svettata la torre del paese, c'erano zombie anche lassù. Si agitavano tra i merli e a un certo punto uno è caduto (o si è buttato?) di sotto. Dovevano proprio essere affamati, quei bastardi.
Ho affiancato un'altra casa, nessuna luce e porta aperta: ho proseguito lungo un muro di cinta, che perlomeno mi garantiva sicurezza sul lato sinistro. A destra, un pendio ripido e un morto vivente che annaspava sotto le foglie umide, scivolando. Ho tagliato per un altro vitigno, stavolta c'erano delle reti tese a tener su le piante. Ho rallentato e mi sono guardato in giro, la strada davanti era libera. A un certo punto sono caduto e, porca vacca, ce n'era uno senza gambe e con il naso putrefatto che mi teneva per la scarpa. Ho tirato fuori il forchettone e gliel'ho piantato nell'orbita, uccidendolo. Ho messo il piede su quello che restava della testa e ho tirato, ma non sono riuscito a tirarlo fuori. Cazzo, era conficcato bene dentro – sembrava più facile nei film. Ho alzato la testa: due suoi amici, qualche fila più in là, si erano accorti di noi.
E allora tienitelo.
Ho ripreso la corsa con il mio arsenale praticamente dimezzato. Sono uscito dal nucleo e mi sono addentrato nella bosco, alla mia sinistra altri – rassicuranti – vitigni. La strada ha preso a farsi in salita, ero quasi in cima al colle di Santo Stefano. Giù nella vallata imbiancata vedevo dei puntini muoversi tra i campi in direzione di Pedrinate, anche se la musica già non si sentiva più.
E se hanno un senso dell'udito più sviluppato del nostro?
Sono arrivato in cima alla collina e ho trovato un prefabbricato/buvette con gli stemmi dei cantoni in plastica ormai dilaniati, probabilmente a causa degli scontri. Sullo spiazzo antistante non c'erano orme, la porta era aperta, il locale deserto: ho costruito una specie di recinto con delle panche di legno parcheggiate lì accanto e mi sono chiuso dentro a prendere fiato. E forse anche riportare il cuore sotto i 160 battiti al minuto.

Mi trovo ancora qui. Le ore di luce a mia disposizione sono troppo poche per tentare un altro spostamento, l'elettricità funziona e ho pure trovato del pane da toast raffermo, sottilette e una busta di prosciutto cotto sottovuoto. Male invece le armi: solo un coltello da pane in ceramica, ma con la punta spezzata. Non riuscirei nemmeno a infilzare un pomodoro, figurarci il teschio di uno zombie.
Ho coperto le finestre con delle tovaglie lasciando uno spiraglio di pochi millimetri; il mio occhio è agganciato al vetro, ma nell'ultima ora non ho visto nessuno muoversi. Rimarrò qui almeno fino a domani mattina, sperando che la neve si sciolga e il tempo sia più clemente.

1 commenti:

  1. Anonimo ha detto...

    a tutti quelli in ascolto. sopravissuti in zona bellinzona. frequenza radio 112.58. cibarie per qualche settimana. buona fortuna se siete la fuori

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