Giorno #33: Quarantotto, Settantadue Ore al Massimo.



La serata di ieri l'abbiamo trascorsa a gozzovigliare a bordo del Saab 2000 in compagnia di Jessica e Federico. Non rimaneva molto da mangiare, a bordo: qualche pasto precotto in vaschette d'alluminio, cinque o sei snack e un po' di succo di frutta. Abbiamo rovesciato su un sedile le nostre provviste e abbiamo cenato alla bell'e meglio.
Era da prima di Natale che stavano lì dentro, dal primo giorno di contagio. Si vedeva dai loro vestiti, macchiati e logori. Si sentiva dal loro odore, un misto di sudore e muffa. “Ogni giorno sembrava quello giusto per scendere e perlustrare i dintorni” ha raccontato Federico, “ma poi ci dicevamo che le provviste erano sufficienti e che si poteva aspettare ancora un po'” e ha abbassato lo sguardo. Aveva paura, il ragazzo. Di essere sovrastato dagli zombie. Di vederne arrivare ancora e ancora, senza una fine.
Abbiamo quindi iniziato a razionare il cibo una settimana fa” ha proseguito Jessica, “volevamo arrivare sino alla fine di gennaio. Ma per fortuna, siete arrivati voi.”
Tra le altre cose, è saltato fuori che Federico era sì un pilota, ma di velivoli leggeri. Aveva preso lezioni da un tale che lavorava anche al Corriere del Ticino e aveva preso il controllo al massimo di un Piper, mai di un “bestione come un Saab 2000”, queste le sue parole.
Ma saresti in grado di pilotarlo?” ha chiesto Massi, scrutandolo.
Dovrei prima recuperare i manuali, a bordo non li ho trovati. Sono quasi sicuro però che in ufficio ci siano.”
Ci puoi arrivare passando per il gate dell'aeroporto?” ho chiesto io.
Ha annuito. “Senza problemi.”
E dopo quello, in quanto tempo pensi di riuscire a volare?” ha domandato Viola.
Tra lo studio, le prove e la formazione di uno di voi come eventuale secondo pilota... Quarantotto, settantadue ore al massimo. Ma perché? Avete una meta?”
Gli ho raccontato di Zurigo e dei ricercatori impegnati nella ricerca di una cura al virus. Certo, era anche possibile che fosse già stata trovata, bisogna solo raggiungerli. Federico e Jessica si sono illuminati.
Dobbiamo partire al più presto”, ha detto lei.
Riuscireste ad aprire le porte per il gate?” ha chiesto lui.
Massi gli ha fatto un cenno con la testa. “Domani. Aspetta e guarda.”

Questa mattina l'abbiamo così passata a ripulire i locali dell'aeroporto. Una passeggiata per Massi e le sue due spade. Ha iniziato tagliando la testa in due a una ragazza addetta al chiosco e ha poi decapitato un ciccione della sicurezza, rinchiuso nella cabina del controllo passaporti. Pensavo di trovare una pistola da qualche parta, ma probabilmente le tenevano in qualche cassaforte.
Dopodiché siamo passati ai banchi del check-in e Massi ha infilato la punta della spada nella massa molle del cranio di una rappresentante di Swiss, il foulard ancora al collo. Infine siamo entrati negli uffici e ha atterrato uno zombie che un tempo doveva essere un impiegato: aveva occhiali dalla montatura scura e spessa, le penne nel taschino della camicia e i capelli pettinati con la riga. Massi gli è salito sulla pancia quando ancora si dimenava e gli ha appiattito la faccia a forza di calci.
Abbiamo accompagnato Federico e quasi si è messo a vomitare quando ha visto il corpo dello zombie-nerd. Bianco in volto, ha raccolto le carte ed è tornato all'aperto. Noi ne abbiamo approfittato per passare in rassegna i locali, recuperando patatine, cioccolato, biscotti e bevande dal chiosco. Con l'aiuto di Jessica abbiamo anche sistemato una scala davanti al portellone del Saab, così da non dover sempre salire con la scaletta di corda. E abbiamo pure smantellato qualche sedile, così da stare più comodi a bordo.

Nel pomeriggio abbiamo studiato la situazione circostante: la piazzola dalla quale eravamo arrivati contava solo cinque zombie, ma ce n'erano molti di più sul perimetro esterno, appoggiati alla rete metallica. Una cinquantina, a occhio e croce. Per il momento sembravano abbastanza calmi.
Abbiamo valutato la possibilità di entrare alla Migros di Agno e recuperare un po' di provviste, ma è svanita in fretta. Le porte di vetro erano aperte e se il parcheggio pullulava di zombie, chissà com'era la situazione dentro.
Proprio come diceva George Romero” ho detto con il binocolo davanti agli occhi. “I morti viventi seguono degli stimoli sociali regressi e si ammucchiano in quei posti dove un tempo erano soliti radunarsi. Per nostra sfiga, al supermercato.”
Massi ha sputato per terra. “Recluta, dove hai detto che era l'armeria di cui parlavi l'altro giorno?”
Ho puntato il dito verso la strada che portava a Ponte Tresa, piena di automobili incolonnate e teste marce. “In centro ad Agno, oltre la Migros e il distributore della Migrol. Un centinaio di metri al massimo. Se vuoi, posso studiare un percorso di avvicinamento.”
Fallo, voglio essere là al più presto.”

Ho finito di studiare le mappe qualche minuto fa, ora è tempo che riposi.

Domani dovremo essere pronti a tutto.

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