La
serata di ieri l'abbiamo trascorsa a gozzovigliare a bordo del Saab
2000 in compagnia di Jessica e Federico. Non rimaneva molto da
mangiare, a bordo: qualche pasto precotto in vaschette d'alluminio,
cinque o sei snack e un po' di succo di frutta. Abbiamo rovesciato su
un sedile le nostre provviste e abbiamo cenato alla bell'e meglio.
Era
da prima di Natale che stavano lì dentro, dal primo giorno di
contagio. Si vedeva dai loro vestiti, macchiati e logori. Si sentiva
dal loro odore, un misto di sudore e muffa. “Ogni giorno sembrava
quello giusto per scendere e perlustrare i dintorni” ha raccontato
Federico, “ma poi ci dicevamo che le provviste erano sufficienti e
che si poteva aspettare ancora un po'” e ha abbassato lo sguardo.
Aveva paura, il ragazzo. Di essere sovrastato dagli zombie. Di
vederne arrivare ancora e ancora, senza una fine.
“Abbiamo
quindi iniziato a razionare il cibo una settimana fa” ha proseguito
Jessica, “volevamo arrivare sino alla fine di gennaio. Ma per
fortuna, siete arrivati voi.”
Tra
le altre cose, è saltato fuori che Federico era sì un pilota, ma di
velivoli leggeri. Aveva preso lezioni da un tale che lavorava anche
al Corriere del Ticino e aveva preso il controllo al massimo di un
Piper, mai di un “bestione come un Saab 2000”, queste le sue
parole.
“Ma
saresti in grado di pilotarlo?” ha chiesto Massi, scrutandolo.
“Dovrei
prima recuperare i manuali, a bordo non li ho trovati. Sono quasi
sicuro però che in ufficio ci siano.”
“Ci
puoi arrivare passando per il gate dell'aeroporto?” ho chiesto io.
Ha
annuito. “Senza problemi.”
“E
dopo quello, in quanto tempo pensi di riuscire a volare?” ha
domandato Viola.
“Tra
lo studio, le prove e la formazione di uno di voi come eventuale
secondo pilota... Quarantotto, settantadue ore al massimo. Ma perché?
Avete una meta?”
Gli
ho raccontato di Zurigo e dei ricercatori impegnati nella ricerca di
una cura al virus. Certo, era anche possibile che fosse già stata
trovata, bisogna solo raggiungerli. Federico e Jessica si sono
illuminati.
“Dobbiamo
partire al più presto”, ha detto lei.
“Riuscireste
ad aprire le porte per il gate?” ha chiesto lui.
Massi
gli ha fatto un cenno con la testa. “Domani. Aspetta e guarda.”
Questa
mattina l'abbiamo così passata a ripulire i locali dell'aeroporto.
Una passeggiata per Massi e le sue due spade. Ha iniziato tagliando
la testa in due a una ragazza addetta al chiosco e ha poi decapitato
un ciccione della sicurezza, rinchiuso nella cabina del controllo
passaporti. Pensavo di trovare una pistola da qualche parta, ma
probabilmente le tenevano in qualche cassaforte.
Dopodiché
siamo passati ai banchi del check-in e Massi ha infilato la punta
della spada nella massa molle del cranio di una rappresentante di
Swiss, il foulard ancora al collo. Infine siamo entrati negli uffici
e ha atterrato uno zombie che un tempo doveva essere un impiegato:
aveva occhiali dalla montatura scura e spessa, le penne nel taschino
della camicia e i capelli pettinati con la riga. Massi gli è salito
sulla pancia quando ancora si dimenava e gli ha appiattito la faccia
a forza di calci.
Abbiamo
accompagnato Federico e quasi si è messo a vomitare quando ha visto
il corpo dello zombie-nerd. Bianco in volto, ha raccolto le carte ed
è tornato all'aperto. Noi ne abbiamo approfittato per passare in
rassegna i locali, recuperando patatine, cioccolato, biscotti e
bevande dal chiosco. Con l'aiuto di Jessica abbiamo anche sistemato
una scala davanti al portellone del Saab, così da non dover sempre
salire con la scaletta di corda. E abbiamo pure smantellato qualche
sedile, così da stare più comodi a bordo.
Nel
pomeriggio abbiamo studiato la situazione circostante: la piazzola
dalla quale eravamo arrivati contava solo cinque zombie, ma ce
n'erano molti di più sul perimetro esterno, appoggiati alla rete
metallica. Una cinquantina, a occhio e croce. Per il momento
sembravano abbastanza calmi.
Abbiamo
valutato la possibilità di entrare alla Migros di Agno e recuperare
un po' di provviste, ma è svanita in fretta. Le porte di vetro erano
aperte e se il parcheggio pullulava di zombie, chissà com'era la
situazione dentro.
“Proprio
come diceva George Romero” ho detto con il binocolo davanti agli
occhi. “I morti viventi seguono degli stimoli sociali regressi e si
ammucchiano in quei posti dove un tempo erano soliti radunarsi. Per
nostra sfiga, al supermercato.”
Massi
ha sputato per terra. “Recluta, dove hai detto che era l'armeria di
cui parlavi l'altro giorno?”
Ho
puntato il dito verso la strada che portava a Ponte Tresa, piena di
automobili incolonnate e teste marce. “In centro ad Agno, oltre la
Migros e il distributore della Migrol. Un centinaio di metri al
massimo. Se vuoi, posso studiare un percorso di avvicinamento.”
“Fallo,
voglio essere là al più presto.”
Ho
finito di studiare le mappe qualche minuto fa, ora è tempo che
riposi.
Domani
dovremo essere pronti a tutto.
0 commenti: