Siamo
partiti dalla villa di Carabietta questa mattina, in direzione nord.
Abbiamo trascorso l'intera mattinata a perlustrare il golfo d'Agno,
ma le zone dei campeggi non offrivano punti d'attracco sicuri.
“Troppi
zombie tra le roulotte” ha sentenziato Massi.
“Puntiamo
verso la foce, ho un'idea” ho proposto.
Ci
siamo diretti verso il fiume e abbiamo fermato la barca sulla costa
sinistra: la corrente era troppo forte, non si poteva andare avanti
più di così. E il pendio era così pieno di piante e rovi che era
impossibile proseguire a piedi.
“Allora
recluta, qual è la tua cazzo di idea?”
In
tutta risposta, ho afferrato lo zaino con entrambe le mani e mi sono
calato nell'acqua fino alla cintola, appoggiando i piedi su un grosso
sasso scivoloso. Dopo qualche passo controcorrente mi sono voltato.
“Così
non lasciamo né tracce, né odori. Ed evitiamo di venire attaccati
alle spalle.”
“E
poi? Vuoi marciare così fino alla sorgente?” mi ha chiesto Viola.
“Là
davanti c'è l'aeroporto di Agno, forse una delle poche strutture
recintate in Ticino che non ha al suo interno un migliaio di morti
viventi pronti ad azzannarci. Dovremmo trovare acqua e cibo. Penso
che valga la pena controllare.”
“Non
hai tutti i torti” e anche Viola si è calata in acqua.
Massi
ha scosso la testa, accorciato i lacci dello zaino e si è immerso
anche lui fino alla vita. Ha controllato che la barca fosse ben
agganciata alla riva e ci ha seguito.
Dopo
una cinquantina di metri, sono uscito dal fiume e ho strisciato sotto
i rovi per dare un'occhiata al sentiero che correva lungo il
perimetro dell'aeroporto: vedevo un paio di zombie bloccati in mezzo
alla strada, ma niente di troppo pericoloso. Ho aspettato che gli
altri mi raggiungessero, ho fatto loro un gesto e superato di corsa
la passerella per poi discendere un pendio di quattro o cinque metri.
Ho appoggiato gli scarponi in un fiumiciattolo e mi sono voltato:
Viola e Massi mi hanno raggiunto qualche secondo dopo. Un paio di
zombie si erano voltati e stavano già trascinando i piedi verso di
noi.
“Di
là!”
Abbiamo
seguito il corso d'acqua sotto una piccola galleria in pietra e siamo
sbucati in una piazzola dell'aeroporto recintata da ramine alte due
metri o poco più. Sulla pista c'erano una manciata di morti viventi,
tutti vestiti da aviatori, agenti di sicurezza o hostess.
Bene,
significa che il posto è isolato.
Ho
estratto le tronchesi dalla tasca e ho creato un passaggio alto 40
centimetri.
“Via
via!” ho sussurrato, mentre dalla galleria stava sbucando il primo
zombie. Sono passato di là anch'io mentre Viola si sfilava la
cintura: ha infilato i due capi ai due lati del varco e l'ha stretta
più che poteva, sigillando la rete di metallo.
Abbiamo
passato le due ore successive a ripulire l'area: io e Viola li
attiravamo verso noi senza far troppo rumore, Massi li attendeva al
centro della pista, sul lato opposto a quello dove eravamo arrivati:
non appena raggiungevano i corpi dei loro compagni, li ghigliottinava
con un colpo secco. Ne abbiamo fatti fuori una dozzina, così.
Siamo
poi andati a caccia di provviste, o perlomeno di un posto dove
dormire, ma gli hangar erano tutti chiusi e così il gate
dell'aeroporto. Ci siamo messi all'ombra di un Saab 2000 per
appoggiare gli zaini e riflettere sul da farsi.
“Abbiamo
provviste per circa un paio di giorni” ha detto Viola, “ma senza
un posto al coperto o un fuoco serviranno a poco.”
Ho
scosso la testa. “Siamo in pianura, accendere un fuoco significa
attirarli qui da tutto il Malcantone. E non penso che le recinzioni
sul perimetro reggano più di quel tanto, nonostante le basi in
cemento e il filo spinato.”
“Non
ci resta che far saltare la porta o un vetro” ha ripreso Viola.
“Vediamo in giro se c'è qualcosa che fa al caso nostro. E veloci,
che tra poco cala il sole.”
“Mi
sono rotto il cazzo di faticare per niente” ha esclamato Massi
gettando il berretto a terra.
In
quel momento, la porta del Saab 2000 si è aperta ed è spuntata la
testa bionda di una donna vestita con una camicetta e un gilet blu
scuro. Lui ha subito messo mano al fucile.
“Chi
cazzo sei tu?” gli ha abbaiato addosso.
Lei
ha alzato le mani. “So-sono Jessica, lavoro qui... Lavoravo qui,
come hostess.”
“Da
quanto tempo sei là dentro?”
“Da-da
tre o quattro settimane, non me lo ricordo nemmeno più.”
Massi
ha teso ancor di più i muscoli e chiuso l'occhio sinistro, il Fas 90
sempre puntato sulla donna. “C'è qualcun altro con te?”
“Sì
signore, ci sono anche io” ed è spuntato un giovane gracile, dai
capelli corti e qualche brufolo sulla fronte. Anche lui aveva le mani
alzate.
“E
tu chi sei? Lo steward di 'sti cazzi?”
Lui
ha fatto di no con la testa. “A dire il vero, sono un pilota.”
E
su quell'affermazione, anche Massi ha dovuto abbassare il fucile.
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