Lo dobbiamo a Cris


Il mio nome è Mattia Bertoldi e sono qui per raccontare la fine di un uomo e della sopravvivenza di altri. Una storia tristemente comune, di questi tempi.

Io e mio fratello eravamo rimasti appostati al Caseificio di Airolo fino all'inizio di marzo. Lui era cuoco al ristorante, io cameriere – ci eravamo spostati qui la notte successiva ai primi casi di infezione, giù in valle. Visto come sono andate le cose, abbiamo fatto bene. Sommersi da formaggi e latte, ci siamo avventurati fuori solo dopo le abbondanti nevicate di quel mese per scalare indisturbati la montagna e raggiungere la caserma della Bedrina, ma c'erano troppi zombie e i fori dei proiettili sulle pareti tradivano l'eventuale presenza di sopravvissuti – se passata o presente, non penso che lo saprò mai. Abbiamo così proseguito la salita fino al Motto Bartola.
Il freddo e il gelo rallentavano gli zombie, così siamo riusciti a conquistare la caserma stanza dopo stanza senza correre troppi pericoli. Aver raggiunto il Mag Mun ci ha facilitato di molto le cose, e devo dire che le istruzioni drill and practice col Fass 90 ai tempi della scuola reclute mi avevano dopotutto instillato una buona mira.

Non ci eravamo mai avventurati fuori da là una seconda volta, non ne avevamo sentito il bisogno: avevamo generatori, benzina, cibo. Per sciogliere l'acqua bastavano i fornelletti a gas. Non aveva senso uscire, almeno fino a oggi pomeriggio. Fino al momento dell'esplosione.

Quando l'abbiamo sentita, abbiamo recuperato delle ganasce militari, due paia di racchette da neve e abbiamo imboccato una via laterale per il tunnel del San Gottardo; una spessa colonna di fumo nero si stava levando verso il cielo.
Li abbiamo trovati là, a una cinquantina di passi dall'entrata della galleria, accartocciati sulla neve.
Cos'è successo? State bene?” abbiamo chiesto, ma nessuno ci ha risposto. Tre di loro erano in lacrime: un uomo vestito da cavaliere medievale, un vecchio barbuto con una carabina a tracolla, una giovane donna con arco e faretra sulla schiena. Tutti piangevano, a parte una. Una ragazza, sui diciott'anni al massimo. Si chiama Veronica.

Li abbiamo convinti ad alzarsi e ci siamo incamminati verso la caserma, ma prima la donna ha costruito una croce con i resti di una cassetta di legno trovata ai bordi dell'entrata del tunnel. L'ha lasciata così, sulla neve.
Mentre tornavamo in caserma mi trovavo in coda al gruppo, insieme alla ragazza. Più o meno a metà strada mi ha preso per mano, fermandosi sulla neve.
Ti devo chiedere un favore” ha detto a voce bassa.
Che cosa?”
Mi ha stretto le dita. “Sai scrivere?”
Mi sono tornati alla mente quei racconti che qualche mese prima ero solito spedire a questo o quel concorso, in Italia e in Svizzera. “Me la cavo, perché?”
Devi raccontare una storia, di quello che è appena successo” e si è tolta lo zaino, estraendone un computer. Mio fratello in quel momento si è voltato, gli ho fatto cenno di andare avanti. Il sole era alto e la montagna sgombra: non c'era pericolo d'attacchi.
Di chi è?”
Dell'uomo che è morto là dentro” e ha indicato il tunnel, oltre la cortina di fumo. “Dell'uomo che ci ha salvato tutti”.

Loro cinque, mi ha raccontato, erano arrivati nei pressi della galleria in tarda mattinata. Non volevano attraversarlo quel giorno, ma valutarne la fattibilità prima di trovare un rifugio. L'imbocco era coperto da una coltre di neve ormai ghiacciata alta tre metri circa e all'inizio avevano tentato di scolpire degli scalini, ma poi hanno pensato di calarsi direttamente sull'asfalto, senza predisporre una via di fuga.
Pensavamo che per trovare una via per salire ci sarebbe stato tempo”, mi ha detto.
La luce solare riusciva a rischiarare solo i primi metri della galleria e ai lati delle due corsie c'erano solo automobili incenerite. C'è stato un incendio, avevano pensato, sono bruciati tutti.
Avevano acceso le torce ed erano entrati per una prima valutazione. Ogni trenta metri, lasciavano un bengala a terra. Dei moderni Pollicini persi nella notte.

Dopo un centinaio di metri, avevano trovato un SUV parcheggiato in direzione nord sulla doppia linea centrale. La portiera era aperta, la chiave ancora nel blocchetto d'accensione. Viola, la donna più grande, aveva voluto provare. Il motore si era acceso al primo colpo e i fari allo xeno avevano illuminato più in là di quanto credevano. Centinaia di occhi erano brillati nell'oscurità del tunnel. Un secondo dopo, correvano a perdifiato verso l'uscita.

Più si avvicinavano alla luce e più i grugniti degli zombie si facevano vicini. Più si avvicinavano alla luce e più si rendevano conto che il muro di neve li avrebbe portati a impantanarsi, a scivolare, mentre quelli non si sarebbero fermati fino al momento di affondare i denti nella loro carne.
Lo aveva capito anche Cristiano, che all'altezza dell'ultima bengala si era inginocchiato e aveva depositato il sacco a terra, a mezzo metro dalla fiamma. Veronica l'aveva visto per prima ed era accorsa per strattonarlo per la manica. Lui aveva estratto una borsa di stoffa dallo zaino e gliel'aveva consegnato.
Vai, e non fermarti” le aveva detto.

Gli altri si erano accorti che Cris si era fermato solo quando hanno visto Veronica camminare verso loro, in lacrime. Sono tornati tutti indietro di corsa e hanno puntato le torce nell'oscurità: Cris era piegato sul muso di un'automobile schiantatasi sulla parete di destra, stava modellando una specie di plastilina marroncina sul cofano.
Cris, muoviti!” gli aveva urlato la donna.
“Attento!” gli aveva gridato l'uomo col fucile e uno zombie gli si era fatto sotto, ma lui era stato più veloce e gli aveva ficcato in bocca un po' di plastilina, seguita da una coltellata dritta nella tempia. Poi si è voltato, scuotendo la testa. Al centro del petto aveva una carica di plastico grande come una scatola da scarpe. Sopra la spalla destra, un filo collegato alla carica appena piazzata.
Scappate, qui sta per saltare tutto” e si è girato per colpire con un calcio alla pancia un altro zombie e affondargli la lama nella nuca.
Il resto dei morti viventi era a meno di dieci metri.
Quindici secondi!” aveva urlato Cris prima di colpire con un pugno un altro morto vivente. “FUORI DI QUI!” e aveva corso incontro all'oscurità, incontro a decine, forse centinaia di fauci.
A Viola e gli altri non era rimasto che correre fuori dal tunnel, scavarsi con le unghie una nicchia ai bordi dell'imboccatura e attendere prima l'esplosione, poi il crollo.
Il tunnel del San Gottardo era andato.

Ora siamo qui, davanti a un piatto di tortelli in scatola dell'Esercito, ma nessuno ha voglia di parlare più. Io e mio fratello abbiamo saputo di Zurigo, di una possibile cura. Improbabile che dopo tre mesi tutte quelle teste d'uovo siano ancora lì, in salvo. Ma la speranza è l'ultima a morire – si dice così, no? E di questi tempi, potrebbe essere morta e tornata in vita; è già qualcosa, no?

Dovremo aspettare, però. Che arrivi la fine della primavera, che la neve si sciolga un po' di più. Potremo tentare la via dei bunker e dei cunicoli scavati nel Gottardo, ma visto quello che si nascondeva nel cuore del tunnel non mi arrischierei mai a entrare là dentro, e per di più al buio. No, dovremo avere pazienza. Ricordo che un tempo l'apertura del Passo del San Gottardo avveniva a maggio, ma a quei tempi c'erano gli spazzaneve a liberare la via. Noi abbiamo solo tempo. Tortelli in scatola e tempo.

Non so per quanto attenderemo e non so se ce la faremo ad arrivare vivi sino a lì. Ma dobbiamo provare.
Lo dobbiamo a noi.
Lo dobbiamo a quelli che non ci sono più, che hanno scritto via e-mail e su questo blog permettendo al gruppo di arrivare sino a qui.

Lo dobbiamo a Cris.

PS: a tutti i sopravvissuti, se ci siete... mattia.bertoldi@yahoo.it. Scrivetemi, e fateci sapere dove siete rifugiati. E che Dio vi benedica.

Giorno #97: Addio al Ticino.

Ho appena spedito una e-mail a tutta la mia rubrica. Eccola.

Il mio nome è Cristiano Camporosso, ho 33 anni e so che nessuno leggerà o risponderà a questa e-mail.
Eppure eccomi qui.
Vi scrivo perché ho camminato tanto in questi giorni, e ho avuto tempo e modo di pensare. Pensieri che non sempre ho scritto sul mio blog, pensieri che voglio condividere.
Negli ultimi novanta giorni ho attraversato il Ticino da sud a nord, da Pedrinate ad Airolo condividendo cibo, acqua e chilometri con più compagni di viaggio. Ho schivato la morte ogni giorno, sfuggendo ai morsi degli zombie che oggi affollano il cantone, tutto. Pensavo non ci fosse più niente per me, in questo posto. Non una moglie, non un lavoro, non un futuro.
Eppure.
Eppure mi guardo indietro e rabbrividisco al pensiero che gli ultimi reduci possiamo essere io, Viola, Martino, Bruno e sua figlia Veronica. Cinque in tutto. Che il cantone è perduto, e che l'illusione di una cura per questo virus a Zurigo possa tramutarsi in una crudele bufala.
Ho paura.
Sto per portare a termine questo viaggio lungo mesi e ho paura solo ora, a un passo dal traguardo.
Perché se entro in quel tunnel, se supero il San Gottardo, ho la quasi certezza che in Ticino non ci tornerò più, e perderò l'unica briciola di normalità che c'era ancora in questo mondo.
Casa mia.
Oltrepassando quella galleria, sarò in un luogo a me sconosciuto, in lotta con gli zombie, da Göschenen fino a Zurigo. Sarà quella la mia vita, combattuta in un luogo lontano da dove sono nato e cresciuto.
Non sono sicuro di volerlo, ma so che devo farlo. I muscoli delle gambe strillano, la fronte gocciola sudore freddo e caldo a ogni ora. Ma oggi, oggi è il cuore a spasimare più di tutti.
Addio, Ticino. Spero di tornare con una cura.


Cris

Giorno #95: A Portata di Mano.

Oggi abbiamo raggiunto Nante e ci siamo sistemati in uno chalet di legno, abbandonato, per la notte. Ce ne sono diversi, giù in valle. Bisognerà fare attenzione.
E comunque siamo qui, a meno di due chilometri dalla nostra via di salvezza per il nord della Svizzera. La cura è là, basta allungare il braccio, tendere le dita. A portata di mano.

Siamo qui, e ancora non ci credo. Stiamo per lasciare il canton Ticino.

Giorno #94: Passo del Sassello.

Superato in giornata il Passo del Sassello, abbiamo trovato riparo al Rifugio Garzonera di Quinto. C'erano tre zombie al suo interno, due vestiti con k-way e pantaloni Think Pink, uno con camicia di lana ruvida, bretelle e scarponi da montagna. Escursionisti e gestore. Viola li ha trapassati con le sue frecce nel giro di dieci secondi.
Riposo, ora.

Giorno #93: Liberando il Baborca.

Ieri abbiamo camminato da Foroglio a San Carlo e su fino al rifugio Poncione di Braga, oltre 2000 metri sopra il livello del mare; oggi siamo invece scesi di quota e abbiamo raggiunto Valle di Peccia nel primo pomeriggio. Abbiamo impiegato un bel po' di tempo a liberare il Baborca dalla neve, pare che ci sia stata una valanga, ma dopo un paio d'ore passate a scavare ce l'abbiamo fatta. Muoversi nel buio totale con solo una torcia e uno Zippo a rischiarare l'oscurità... Brr, non lo rifarei. Comunque l'abbiamo percorso e raggiunto infine Peccia, dove abbiamo trovato riparo in una casa affacciata sulla Maggia.
Inutile dire che siamo tutti stravolti dalla giornata, ma è una stanchezza positiva, dovuto a sforzi che ci avvicinano all'obiettivo, e non al timore di essere uccisi a ogni passo. Solo sul limitare del paese, dopo quattro giorni di vuoto totale, abbiamo visto degli zombie – pare proprio che il freddo e il gelo li immobilizzino, si vede che i muscoli e le giunture si intorpidiscono, o qualcosa del genere. In più, la neve impedisce loro di muoversi rapidamente come in città e oggi ne abbiamo persino visto uno immobilizzato dal busto in giù in un cumulo di neve, che agitava le braccia come un forsennato.
Un bersaglio facile facile.
Non abbiamo tuttavia sprecato pallottole o frecce con loro, perché più ci avviciniamo al San Gottardo e più è chiaro a tutti che dovremo usare ogni più piccola particella di energia per essere sicuri di uscirne fuori vivi e arrivare a Zurigo.

Giorno #91: Sigarette, Mazze e Sorprese.



Siamo arrivati a Foroglio. Abbiamo deciso che, paradossalmente, d'ora in avanti sarà bene avanzare attraverso i passi e scalando le montagne. Ma non per gli zombie, quelli non li vediamo più da diverse ore ormai. Per la neve. Camminare a valle è faticoso, sprofondiamo fino alle spalle e ci bagniamo; poi, nei posti più ombreggiati, veniamo frustati dal vento e rischiamo di morire di freddo. In cima ai monti, invece, c'è più sole e la neve è ghiacciata. Fatichiamo sulle salite, d'accordo, ma perlomeno non dobbiamo creare dei sentieri tra cumuli e cumuli di neve aiutandoci con le braccia e pale di fortuna.

Ieri, dopo aver superato Bosco Gurin, ci siamo addentrati nella val Calnegia e ci siamo sistemati al rifugio della Crosa, nei pressi del laghetto. Erano appena le 15 e visto che il pericolo di attacchi qui, nel mare bianco della montagna, è praticamente scongiurato ci siamo concessi un po' di tempo libero per passeggiare nei dintorni. E io ho trovato anche qualcosa di interessante, poche centinaia di metri a nord ovest: una bocchetta lungo il confine dove qualche spallone ha lasciato della merce, forse in attesa di un corriere.
C'erano tre o quattro pacchi di zucchero, un paio di bottiglie di grappa e due stecche di Marlboro senza tutte quelle scritte sul pericolo di morte e il rischio di impotenza.
Dovranno avere almeno una decina d'anni.
Proprio un peccato che io non fumassi, ma ho comunque raccolto il bottino, perlustrato anche i dintorni e sono tornato al rifugio. Quando ci siamo trovati tutti nel salone davanti al camino acceso, ho fatto lo splendido svuotando il contenuto del sacco sul tavolo. Occhi sgranati, bocche aperte.
Ma dove hai trovato tutta 'sta roba?” mi ha chiesto Bruno.
Be'...” e ho raccontato l'intera storia, tra un bicchierino di grappa e l'altro. “Il sale teniamolo, che potrebbe sempre servirci nei prossimi giorni. Non si sa mai. Riguardo alle sigarette... Qualcuno qui fuma?”
Viola, Bruno e Veronica hanno scosso la testa. Goffredo è rimasto fermo, lo sguardo basso.
Okay.” Ho preso entrambe le stecche in mano e mi sono diretto verso il camino. “Allora tanto vale gettarle nel fuoco per scaldar–.”
FERMO!” ha tuonato Goffredo, alzandosi. Abbiamo smesso tutti di respirare, il tempo si era fermato nel rifugio della Crosa. “Io fumo.”
TU?!” abbiamo detto in coro.
E così, dopo la mia storia, è stato Goffredo a raccontarci la sua tra una boccata e l'altra. E non aveva niente a che fare con re Rabadan e tutte quelle cose viste a Bellinzona. Il suo vero nome è Martino, viene da Foroglio. Lì gestiva un'osteria alpina chiamata La Froda, poi quando è iniziata l'invasione dei morti viventi ha riempito lo zaino di salumi e si è spostato più a sud verso Bignasco, poi Maggia, Locarno, Monte Carasso e Bellinzona, dove ha barattato l'accoglienza al castello con una mazza e tre salami.
Ma in cantina ho ancora qualcosa, se mai dovessimo arrivarci” e tutti avevamo l'acquolina in bocca, visto che quella sera ci sono toccati i piselli in scatola.

Questa mattina, fiuu, dovevate vederci come filavamo sulla neve, tutti con l'immagine di questa fenomenale cantina dell'osteria di Martino. In testa c'era proprio lui, seguito da Bruno e Viola. Io sono rimasto qualche passo indietro un po' per solidarietà verso Veronica, un po' per il peso dello zaino che ora conteneva anche i tre o quattro chili di sale. Quando distavamo una trentina di metri dal gruppo di testa, mi ha poggiato la mano sul braccio e ha portato l'indice e il medio della mano sinistra sulle labbra, con un occhio puntato su di me e uno su suo padre.
Voleva una sigaretta, fumava di nascosto.
Le ho sorriso e annuito.
Bruno!” ho gridato.
Sì, dimmi” ha risposto voltandosi.
Ci fermiamo un attimo, prendo fiato.”
Anche loro si sono bloccati. “Vi aspettiamo?” ha urlato Viola.
Ma no, andate pure. Rimane Veronica a farmi compagnia. Cinque minuti e riprendiamo.”
Va bene” e sono ripartiti.
Ho aspettato che girassero dietro una roccia e ho appoggiato lo zaino a terra. Ho aperto un pacchetto, sfilato una sigaretta e l'ho allungata a Veronica. Poi le ho fatto accendere dal mio Zippo. Lei si è sporta e ha tirato la sua prima, goduta boccata da chissà quanti giorni. Ha tossito un paio di volte, poi ha ripreso e se l'è fumata tutta nel giro di una novantina secondi. Ne ha voluta un'altra, e questa se l'è goduta già di più.
Alla fine ho messo via tutto e mi sono rimesso lo zaino in spalla.
Pronta?” le chiesto facendole l'occhiolino.
Lei è rimasta in silenzio, ma mi ha sorriso e un raggio di sole le ha illuminato il volto. In quel momento ha sbattuto tutte e due gli occhi contemporaneamente, probabilmente per colpa della luce intensa, ma io l'ho preso come un doppio occhiolino. Stavamo facendo amicizia.


Che cosa rimane da raccontare? Alla fine a La Froda ci siamo arrivati, e anche se la cantina era stata depredata Martino aveva due o tre cantucci segreti che hanno garantito vino, mazze e salumi per tutta la serata. E ora scusate, vado a dormire: la testa mi gira un bel po' e domani ci sarà ancora un bel po' da marciare.

Giorno #89: Per non Perdere Noi Stessi.



Giornata senza scossoni. Scesi dal monte Salmone, ci siamo diretti a Maggia e abbiamo seguito il corso del fiume omonimo sul lato ovest. Aurigeno, Moghegno, Lodano... Abbiamo incontrato qualche zombie, ma erano sempre isolati e li abbiamo schivati senza troppe difficoltà. Sull'altro lato invece, soprattutto lungo la cantonale tra Coglio, Giumaglio e Someo, i morti viventi erano ben di più.
Abbiamo pranzato a Boschetto, su un terrazzamento di pietra a pochi metri da una cava. Nei paraggi abbiamo trovato anche un prefabbricato con dentro un paio di zombie vestiti da operai, ancora col caschetto giallo in testa. Viola ha aperto la porta e io e Bruno li abbiamo eliminati nel giro di pochi secondi, lama del coltello all'insù dritta sotto il mento e tutti giù per terra. Negli armadi abbiamo trovato una mezza dozzina di scatolame e due confezioni di toast ormai marcio. Abbiamo incamerato le prime e buttati le seconde. In una sacca c'era pure dell'esplosivo completo di micce, che va a fare il paio con quello consegnatomi da Massi, poco prima di morire.
Abbiamo proseguito lungo la val Rovana, sempre tenendoci distanti dai centri abitati – Linescio e dintorni. A Cerentino il paesaggio ha iniziato a riempirsi di neve e il cammino si è fatto più pericoloso, impedendoci di mantenere la tabella di marcia del mattino. Nel pomeriggio infatti, complice il caldo, il terreno si è fatto scivoloso, bagnato e pesante – pare proprio che sarà impossibile percorrere più di un paio di chilometri ogni ora, nei prossimi giorni.
Ci siamo fermati per la notte in una casa immersa nel bosco, a metà strada tra Cerentino e Bosco Gurin. Considerata la posizione isolata, Bruno ha detto che avremmo potuto rischiare di accendere il camino per scaldarci e per arrostire un po' di carne. Goffredo ha nicchiato, io e Viola ci siamo dati subito da fare facendo a pezzi un comodino per avere della legna asciutta.
È stata una bella serata. Mi mancava, quel senso di sicurezza che ti dà trascorrere del tempo con delle persone di cui ti fidi, forse addirittura degli... amici. A Zurigo troveremo una cura, ne sono certo.
Dobbiamo trovarla, per non perdere momenti come questi.

Per non perdere noi stessi.

Giorno #88: ul Suu in Cadrega.



Stamattina Veronica ha cambiato la fasciatura a Goffredo per l'ennesima volta.
L'infezione è sotto controllo?” le ho chiesto. “Pensi che potrà camminare?”
Ha annuito due volte. A quel punto, d'accordo con Viola, siamo andati da Bruno per congedarci. Lui e sua figlia sapevano di Zurigo e del nostro viaggio per il San Gottardo, probabilmente se lo aspettavano che saremmo ripartiti nel giro di pochi giorni. Quelle che non ci aspettavamo, invece, sono state le sue parole.
Veniamo anche noi.”
Sono rimasto a bocca aperta fino a quando è intervenuta Viola.
Ne siete sicuri? Qui siete sistemati abbastanza bene, considerata la situazione a valle.”
Non abbiamo dubbi. Meglio andare incontro alla fine tentando il tutto per tutto, piuttosto che attenderla in cima a un campanile.”
Aveva ragione, e si vedeva che lo faceva la figlia.
Abbiamo riorganizzato i bagagli e fatto un piccolo inventario: Bruno ha ancora 27 proiettili per la carabina, Viola dispone di una ventina di frecce e io sono sempre e solo fornito di coltelli. Goffredo ha il braccio a tracolla, il suo mazzafrusto è destinato a rimanere fermo ancora per un bel po'. Veronica ha messo in una valigetta da pronto soccorso tutto quello che le era rimasto e l'ha infilata nello zaino. Provviste: abbastanza per sette-otto giorni, dal quarto in avanti sarà meglio razionarlo. Materiali: coperte di lana grezza, teli impermeabili e mimetici, pelli e un paio di giacconi, corde... Insomma, tutto quello che Bruno utilizzava per appostarsi nei giorni di caccia alta.
Siamo partiti alle undici, abbiamo seguito il vecchio sentiero onsernonese sulla costa est dell'Isorno e siamo arrivati a Loco; da lì abbiamo seguito il passo della Garina e siamo giunti sul monte Salmone.
Considerato il punto in cui eravamo arrivati ero fiducioso di poter raggiungere Airolo e il massiccio del San Gottardo in due, massimo tre giorni di cammino, ma la neve ad alta quota ci sta rallentando più del previsto. Non pensavo ne fosse caduta così tanta, nel corso dell'inverno. E più andremo verso nord, più sarà peggio.
A ben guardare si tratta tuttavia di un vantaggio, visto che il manto candido che copre prati e radure ci permette di individuare le orme di zombie e di eventuali animali di passaggio. Ne abbiamo viste alcune, durante la salita, ma Bruno ha detto che sono ormai vecchie di giorni.
Questa marcia scevra di minacce sembra aver tramutato la spedizione in una gita fuori porta. Il nervosismo degli scorsi giorni è scomparso e tutti si concentrano sul paesaggio e sul cammino, piuttosto che su un possibile attacco da parte dei morti viventi.

Al calare della sera ci siamo rifugiati in una rientranza della parete rocciosa del monte. Goffredo era inginocchiato ad accendere il fuoco, Viola e Veronica preparavano il campo, io e Bruno ci siamo fermati un minuto a osservare il sole tramontare.
Sai, mio padre mi raccontava sempre una storia su questo posto.”
Quale?”
La chiamava 'la leggenda del suu in cadrega'. Diceva che due volte l'anno, in occasione degli equinozi, il sole si immobilizza all'orizzonte, come a volersi riposare dei suoi mille viaggi. Sosteneva che se in uno di quei giorno il sole non si fosse fermato in mezzo al cielo, il mondo sarebbe finito.”
Bella sfiga” e ho sputato per terra.
Che cosa?”
Non essere arrivati qua tre giorni fa. Almeno potevamo vedere se il tuo vecchio aveva ragione.”
Già, già... Ma forse avevano ragione anche i Maya. Non erano loro a dire che a dicembre la civiltà sarebbe crollata o qualcosa del genere?”
Il 21 dicembre, sì.”
Allora ci avevano azzeccato” e ha fatto di sì con la testa.
A dire il vero parlavano del 21 dicembre 2012.”
Be'” e Bruno ha alzato le spalle, “non hanno poi sbagliato di molto.”
Considerato l'anticipo con cui ci sono arrivati...” e mi sono morso un labbro. “Sì, non è molto.”

Siamo tornati al campo, la cena era quasi pronta. Domani ripartiremo.

Giorno #87: Veronica.



Hanno sparato a Goffredo, porco diavolo. Giovedì sera.

L'avevo individuato col binocolo, era fermo in mezzo a un prato con lo sguardo fisso su un gruppo di fiori. Attorno a lui, cadaveri qua e là.
Deve esserci stato un combattimento... Ma cosa fa là in mezzo?
Poi ho sentito lo sparo e l'ho visto cadere a terra.
Viola, muoviti!” ho urlato e siamo corsi verso lui. A una cinquantina di metri da Goffredo ci siamo accorti che non eravamo gli unici: un tizio sulla sessantina (calvo e con una barba grigia lunga) e una ragazzina sui 18 anni stavano accorrendo nella stessa direzione. L'uomo portava una carabina a tracolla, e Viola ha incoccato una freccia non appena l'ha adocchiata.
Fermi!” e ci siamo bloccati a una ventina di metri da Goffredo. Loro hanno fatto lo stesso.
Oh-oh calma” ha detto l'uomo alzando le mani. “Io... Non volevo, è stato un incidente!”
Giù il fucile” ha detto Viola tendendo ancor di più l'arco. Lui se l'è sfilato e l'ha appoggiato a terra. “Ora fai cinque passi indietro.” Ha eseguito. La ragazza, invece, è rimasta immobile e la sfidava con lo sguardo. “Anche lei. Subito.”
L'uomo ha preso per mano l'adolescente ed entrambi si sono allontanati dall'arma.
Cris, muoviti” e ha lanciato un'occhiata verso Goffredo che, lo notavo solo ora, si era già messo a sedere.
Ma che diaboleria...” ha detto stringendosi la spalla destra con la mano sinistra.
Goffredo, stai bene?” La parte destra della maglia era già piena di sangue.
Fate avvicinare mia figlia, può aiutarlo” ha detto l'uomo.
Chi siete?” ha chiesto Viola.
Mi chiamo Bruno, lei è Veronica. Sono un cacciatore, o almeno: lo ero... Lei ha studiato a Canobbio per diventare soccorritrice, fatela avvicinare: rischia di perdere troppo sangue!”
Viola è rimasta in silenzio per qualche secondo, poi le ha fatto un cenno con la testa.

Il proiettile era entrato e uscito dalla spalla, per fortuna, le è bastato disinfettare la ferita, tamponarla e fasciarla. Il braccio di Goffredo dovrà rimanere a riposo per un bel po', e questa è una brutta sfiga per il cammino che ci rimane da fare. Ma perlomeno abbiamo trovato accoglienza, cibo e protezione.
Bruno e sua figlia si sono fatti un riparo mica male, all'interno del campanile di Intragna. Non avevo ancora incontrato nessuno che si era barricato in una chiesa, e lui mi ha spiegato che il campanile più alto del Ticino è indubbiamente un buon posto per tenere d'occhio la valle – e colpire chi si avvicina troppo, ha sussurrato. Ci ha raccontato che aveva scambiato Goffredo per uno di loro, dato che era vestito in una maniera strana ed è rimasto immobile in mezzo a quel prato per una decina di minuti buoni.
Lo mio intento era rifornir lo nostro gruppo d'erbe et gemme medicinali”, si è giustificato lui.

Durante tutta la serata, Veronica è rimasta in silenzio. Quando si è allontanata per prendere nuova legna da buttare sul fuoco, Bruno ci ha spiegato che da quando è iniziata l'invasione, si è via via fatta sempre più silenziosa, fino a non parlare più.
L'ho osservata di nascosto più volte, quella sera. Ha i capelli biondi, lunghi e un viso che – nonostante la pelle molle e opaca dovuta alla stanchezza – nasconde una luce, una speranza. Era tanto tempo che non vedevo quella scintilla; forse dall'incontro con Viola, prima che scoprisse che il suo fidanzato si era trasformato in uno di loro.
Veronica è giovane, ma sa fare bene il suo lavoro. In questi tre giorni ha cambiato la fasciatura a Goffredo ogni sei ore, se la cava mica male. Stamattina mi è venuto in mente che sarebbe potuta essere una delle mie allieve, di terza o di quarta. Una di quelle che pensa che la vita sia ormai agli sgoccioli perché è appena stata scaricata da un ragazzo.

Capivo quel comportamento, quel mutismo. Si è trovata confrontata a un'apocalisse che ha travolto tutto quello che aveva: vicini di casa, amici, sogni. Senza alcun strumento per gestirla, se non una forbice, qualche tubetto di crema e un po' di garza.

Giorno #84: Fuoco e Fiamme.

Non ci hanno messo molto ad arrivare. Da Locarno alcuni, da Ponte Brolla tutti gli altri. Siamo partiti verso Cavigliano non appena li abbiamo avvistati e lì abbiamo usato il mio accendino per appiccare un fuoco al bosco e lasciarceli alle spalle. Dopo esserci allontanati di qualche centinaia di metri abbiamo ripreso in mano i binocoli e abbiamo visto gli stracci dei primi venir morsi dalle fiamme, ma i bastardi continuavano ad avanzare anche se il fuoco li aveva avviluppati, anche se le ossa delle gambe erano ormai ridotte a polvere e gli zombie si trascinavano per terra con le braccia.
Proseguiamo”, ha detto Goffredo.
Ci siamo rifugiati nei pressi dell'imbocco della val Onsernone, meno di un chilometro a nord di Intragna. La giornata è stata soleggiata, ma Goffredo dice che presto pioverà. Non so come fa, ma c'è da fidarsi. Ne ha approfittato per andare a caccia, per ora io e Viola non lo abbiamo ancora visto tornare.
Andiamo a cercarlo?” mi ha detto volgendo un ultimo sguardo ai boschi incendiati. Qualche fiamma divampava ancora, sui lati.
No, aspettiamo; è quasi il tramonto, sarà sulla via del ritorno.”
Ho aspettato che Viola si allontanasse di qualche metro, poi ho preso in mano il binocolo e l'ho cercato tra le piante mordendomi un labbro.

Muoviti, cazzo. Muoviti.

Giorno #83: Lungo il fiume Melezza.



Siamo vivi per miracolo.

Quella sera a Orselina siamo stati attaccati da un'orda di zombie senza sapere da dove venisse e dove finisse. Arrivavano dalla montagna e dalla valle, da sinistra e da destra. A decine, centinaia. Non finivano mai. Abbiamo fatto i bagagli in fretta e furia e siamo usciti dalle finestre del primo piano proprio mentre irrompevano in casa. Considerata l'oscurità, siamo passati per l'unico territorio che conoscevamo – quello che ci aveva portato sino a lì.
Abbiamo camminato e camminato a ritroso, ma il fatto di essere in gruppo li rendeva più rapidi del solito e così siamo arrivati all'alba che praticamente correvamo in direzione di Brione. In quel momento, di fronte a noi, si è parato un campo zeppo di morti viventi.
Dobbiamo girare a destra verso Minusio” ho gridato, tra un ansimo e l'altro.
Ma è un centro abitato, rischiamo di venire sommersi” ha risposto Viola.
Lo so, ma non abbiamo scelta.”
Abbiamo tagliato per un bosco e trascorso i trenta minuti successivi a schivare fauci e artigli fino a quando siamo arrivati sul lago, nei pressi di una grossa villa. Ci siamo messi con la schiena contro il corrimano e ci siamo guardati intorno. Eravamo accerchiati da almeno duecento zombie.
Buttiamoci in acqua” ha proposto Viola, “ci allontaniamo a nuoto e torniamo in riva qualche centinaio di metri più in là.”
Goffredo ha fatto qualche passo avanti e abbattuto il primo zombie con il coltello.
Non possiamo. Goffredo peserà almeno cento chili, e con quella cotta di maglia, poi? Se ci lanciamo in acqua va a fondo come un sasso, te lo dico io.”
Ha srotolato la catena del mazzafrusto e iniziato a farlo roteare, ma erano troppi per aspettarsi che li facesse fuori tutto, anche con le frecce di Viola.
E allora cosa facciamo?” ha chiesto Viola tendendo l'arco.
Dammi un minuto, un minuto solo” e mi sono guardato intorno. Quando gli occhi sono caduti sulla villa e su una specie di garage in lamiera affacciato sull'acqua, ho iniziato a sperare. “Aspettami qui” e mi sono lanciato nel lago.
Cristiano!” mi ha urlato, ma ero troppo impegnato a nuotare per risponderle. Mi sono infilato nel box e ringraziato Dio. Sono montato a bordo e ho gridato. “Viola! Buttati!”
Hai trovato una barca?”
No, meglio. Muoviti!”
Goffredo, arrivo subito!” ha urlato e un paio di secondi dopo ho sentito un tonfo in acqua. Dopo nemmeno un minuto era davanti a me e alla mia nuova moto d'acqua bianca e rossa.
Ma che...” ha detto facendo affiorare la testa fuori dall'acqua. Le ho allungato un braccio e l'ho fatta montare sulla moto gemella accanto alla mia. “Muoviamoci!”
Siamo usciti dal garage a tutto gas e ci siamo allontanati di qualche metro da Goffredo. Mentre Viola attendeva al largo, io mi sono piazzato sotto al corrimano. Sentivo il mazzafrusto fendere l'aria e abbattersi sulla carne marcia dei morti viventi. Doveva essere un macello, là sopra.
Goffredo, buttati!”
Ha fatto qualche passo nella mia direzione e si è allungato per vedere da dove parlavo.
Si tu osi supporre ch'io vegna a cavallo di codesta diavoler–”
Eddai, non c'è tempo!” Con uno scatto mi sono appeso al corrimano e l'ho afferrato per la barba. “Se non vieni non ci sarà più un castello né un re Rabadan, perché quelli ti mangeranno vivo!” e gli ho girato la testa in direzione degli zombie che distavano ora meno di cinque metri.
Lui ha dato una rapida occhiata dietro di sé e fatto qualche rapido conto a mente, poi ha sbuffato.
Aveva capito.
Mi sono messo alla guida e ho aspettato che scendesse. Per poco non affondavamo! La moto è riuscita a rimanere a galla e un minuto dopo andavamo a tutta velocità in direzione di Locarno e della foce della Melezza.
Abbiamo risalito il fiume fino a Losone e siamo scesi sul lato destro del corso d'acqua, di fronte al Golf Gerre. Non sapevamo se ci stavano ancora inseguendo o se il rumore aveva attirato nuovi zombie sulle nostre tracce, quindi per sicurezza abbiamo bloccato l'acceleratore delle moto d'acqua e le abbiamo direzionate in direzione del lago. Sono andate a schiantarsi sulla costa qualche centinaio di metri più in giù, speriamo siano sufficienti.
Abbiamo perlustrato una decina di case tra Tegna e Ponte Brolla oggi, e senza incontrare nemmeno uno zombie. Non sappiamo quanti centri abitati così isolati visiteremo nei prossimi giorni, quindi meglio fare un po' di provviste.


In ogni caso, con un Goffredo intorno, è come avere una guardia del corpo sempre dietro le spalle. Un bel sollievo, vista l'agitazione delle ultime ore.

Giorno #82: Senza Vento.

I coperchi e i vassoi di plastica che abbiamo legato sulle funi disposte intorno alla casa stanno tintinnando. Ho pensato al vento, ma il cielo è sereno e non tira un alito di aria. Sono quasi sicuro sia uno di loro. Vado a svegliare Goffredo e Viola. Speriamo sia solo.

Giorno #81: Non va bene.

Le cose non si mettono molto bene. Da Contra abbiamo cercato degli sbocchi verso nord, ma tutte le strade che portano a Cardada sono bloccate da massi o automobili accatastate una sopra l'altra. Qualcuno deve aver provato ad alzare delle barricate, isolandosi sull'alpe o alla Cimetta. Goffredo non si è lasciato smuovere più di tanto e ha proseguito la camminata senza proferire una parola.
C'è un'altra cosa che rende ancora più difficile la marcia: da queste parti i boschi sono zeppi di zombie e fino a ora ne abbiamo uccisi sette, in attesa tra i cespugli o dietro i tronchi. Goffredo non si fida a muoversi tra gli alberi in queste condizioni, e neppure noi. Ci siamo spostati verso ovest rimanendo il più vicino possibile ai nuclei di Brione e Orselina, ma se dovessimo essere attaccati dalla zona boschiva...
Stanotte abbiamo trovato riparo in una villa situata su una strada dal nome che è tutto un programma: Mulattiera San Bernardo.
Goffredo ha detto che domani proveremo a salire per la via che porta a Monte Brè. Speriamo di avere strada libera, altrimenti saremo costretti a scendere verso Locarno. Circa 15 mila abitanti a quanto ricordo dai tempi del liceo, quasi cinquantamila se si considerano l'intero agglomerato.

E lì, non so proprio come potrebbe andare a finire.

Giorno #79: Diga della Verzasca.



Goffredo è più prudente di quanto pensassi.

Per due giorni abbiamo atteso a Monte Carasso, diceva che non era il momento di mettersi in marcia. Non ha mai aggiunto spiegazioni, così non ci è rimasto che perlustrare alcune abitazioni isolate e recuperare qualche provvista e delle bottiglie d'acqua.
Ieri finalmente abbiamo costeggiato il piano di Magadino, ma abbiamo camminato solo per un paio d'ore – se ne potevano fare molte di più. Superato Gudo, all'altezza di Cugnasco ci siamo diretti verso nord e abbiamo dormito in una casetta poco distante dal sanatorio di Medoscio, non prima di aver tirato intorno all'edificio un po' di funi così da bloccare eventuali attacchi zombie. Abbiamo trascorso una notte tranquilla, ma oso solo immaginare quanti morti viventi si annidino tra i corridoi di quei due palazzoni. Certo, non è molto diverso da qualche mese fa, quando nella struttura giravano solo vandali, tossici e pseudo-satanisti.
Stamattina siamo ripartiti e io e Viola abbiamo lasciato Goffredo prendersi qualche metro di vantaggio.
Secondo me ci sta ripensando” le ho sussurrato, “ha paura di allontanarsi troppo dal castello e perde tempo”.
Anche io ho notato qualcosa di strano”, ha detto annuendo, “sembra voler evitare il contatto diretto con loro”.
Tipo che fa tanto il figo medievale ma in fondo ha paura?”
Tipo, sì”.

Ma questo è stato prima di arrivare alla diga della Verzasca.

L'abbiamo vista spuntare da dietro un albero dopo aver attraversato l'ennesimo bosco. Io e Viola abbiamo tirato fuori i binocoli e Goffredo si è fatto di lato, sbuffando.
Codesti vetri son superflui” ha mormorato, ma lo abbiamo ignorato.
La corona della diga era affollata di zombie, almeno un'ottantina a occhio e croce. Lungo la parete, un centinaio di metri più in basso, c'era un uomo appeso all'elastico che penzolava e muoveva le braccia.
Pensi sia vivo?” ho chiesto a Viola.
Lo dubito, altrimenti avrebbe provato a staccarsi. Si vede che si stava preparando al lancio ed è stato morso”.
Certo è che di lì non si passa. Forse potremmo trovare una strada alternativa al di sotto della diga, che ne dici Goffredo?”
Silenzio. Ho abbassato il binocolo e mi sono voltato: non c'era più.
Dov'è andato?”
Viola ha scosso la testa e un urlo proveniente dalla diga ci ha raggiunto. Lei ha risollevato il binocolo.
Guarda!”
Ho messo a fuoco: Goffredo era all'inizio della corona e stava fronteggiando l'intero gruppo di zombie da solo. Roteava il mazzafrusto sopra la testa a una velocità micidiale e abbatteva la palla di piombo sulle teste di chi osava farsi avanti. Con quelli più vicini allo strapiombo, invece, si limitava a buttarli giù con calci o spallate, e questo senza mai interrompere gli attacchi con l'arma.
Muoviamoci, andiamo!” ha urlato Viola che aveva già incoccato una freccia nell'arco.
Siamo corsi verso di lui con un sottofondo di versi gutturali e teste che venivano maciullate, ma quando lo abbiamo raggiunto la piattaforma era già ridotta a un cimitero con una cinquantina di corpi decapitati a terra.
Orsù, plebaglia, avanziamo sine esitazione”.
Ma... Come hai fatto?” gli ho chiesto.
Lui ha trattenuto il bastone del mazzafrusto sotto l'ascella e ha estratto uno straccio dalla tasca: lo ha passato sulla palla e si è mosso in avanti senza dire niente. Prima di superare la diga, tuttavia, si è diretto verso la piattaforma del bungee jumping e ha sfilato un pugnale che teneva a tracolla. Con un colpo secco ha tagliato l'elastico e abbiamo sentito lo zombie appeso schiantarsi a terra.
Creature diaboliche, l'inferno vi brucerà le carni ad aeternum” ed è ripartito. Anziché dirigersi verso Mergoscia e il nord, abbiamo svoltato a sinistra e ci siamo rifugiati in una casa ai confini di Contra.

Non mi permetto però di dire più nulla.

Il ragazzo sa il fatto suo e val la pena fidarsi.

Giorno #75: Come una Palla da Bowling.



Poca la strada macinata oggi, ma perlomeno abbiamo viaggiato leggeri.

Ce lo ha imposto Goffredo stamane, poco prima di partire. Ha indicato con un cenno della testa i nostri fucili e si è esibito in una smorfia di disgusto che gli ha arricciato tutta la barba.
Che faceste voi villici con codeste nove armi dimoniache? Cedetele ora e sposate l'arma bianca: subitanea, letale et perpetua”.
A dire il vero queste ci hanno salvato il culo più di una volta, là fuori, caro il mio cavaliere” ho risposto.
Interrogativo non era, ma ordine” e si è messo a braccia conserte, osservandoci.
Viola ha depositato il suo fucile mitragliatore e accarezzato la corda del suo arco. “Dai, fai come dice”.
Sì, ma così tornavo ai soliti e inutili coltelli! “Non ci sarebbe un'arma anche per me, visto che non dispongo di molti mezzi?” ho domandato abbandonando a terra il fucile a pompa.
Armiere!” ha gridato Goffredo e un giovane di al massimo diciotto anni nascosto dietro un angolo si è fatto avanti. “Porgi al messere una bardica, e sii lesto!”
Il ragazzino è tornato dopo una trentina di secondi con un bastone di legno sulla cima del quale era stata montata una mezzaluna, a mo' di ascia. Mi ricordava quelle di Gimli il nano nel Signore degli Anelli.
Mi aspettavo qualcosa di più grande, per sconfiggere un cantone pieno di zombie...” ho mormorato a Viola.
Non per la pugna, ma per il longo cammino. Ti fornirà appoggio et supporto” ha detto Goffredo prima di avviarsi verso la porta.
Trattato come un vecchietto zoppo, io!
E tu?” gli ho chiesto inseguendolo. “Tu che arma ti porti?”
Garzone, è pronta?”
Certo cavaliere, eccola qui” e si è chinato verso una coperta che sembrava abbandonata a terra. L'ha sollevata ed è spuntato un mazzafrusto da gigante, composto da un legno di diametro di almeno dieci centimetri e una sfera ferrata grande come una palla da bowling. E anche il peso non doveva essere tanto dissimile, a giudicare dal colore nero e dalla dimensione del punte.
Di fronte a un argomento così chiaro, non ho detto più nulla. E siamo usciti dal castello.

La strada percorsa non è stata tanta, ma con Goffredo come guida è stato tutto molto più semplice. Sembra prevedere i pericoli, percepisce quando è giusto muoversi e quando no, non abbiamo incontrato un morto vivente per tutto il giorno. E poi cammina veloce, non sembra ma è una freccia. E infine, dopo una prudente camminata sul lato settentrionale della strada cantonale che collega Bellinzona a Locarno, abbiamo trovato rifugio in una vecchia casa in pietra su al Curzútt di Monte Carasso, nei pressi di una vigna per miracolo già in fiore.

Abbiamo fatto sopralluoghi nelle altre abitazioni, tutte disabitate e con ben poco di utile – solo mobili scassati e spazzatura abbandonata chissà quando.
Ma perlomeno dormiremo tranquilli, pronti per domani.

Giorno #74: La Guardia del Corpo.

Questa mattina io e Viola abbiamo parlato della questione con Jack.
Comprendo le vostre ragioni, ma io rimarrò” ci ha detto facendoci l'occhiolino, “Qui hanno bisogno di un fabbro, hanno già un bel po' di ferri a disposizione. E poi il re mi ha promesso che settimana prossima andremo a recuperare la mia moto, se il tempo lo permetterà. Non potrei chiedere di più.”
Ti capisco” e gli ho appoggiato la mano sulla spalla.
Viola l'ha abbracciato. “Grazie di tutto, Jack.”
Poi siamo stati ricevuti da re Rabadan e gli abbiamo spiegato le nostre ragioni.
Siete sicuri di questa scelta?” ci ha chiesto con sguardo accigliato.
Abbiamo annuito. “Ne siamo certi.”
E sia” e si è alzato in piedi, “ma se il nobile Jack rimarrà a corte per aiutarci nell'arte del ferro, è mio dovere offrirvi una scorta. Goffredo!”
Da dietro uno stendardo si è materializzato l'uomo con il barbone e si è inginocchiato davanti al trono. “Ai vostri ordini, sire.”
La tua missione è quella di accompagnare il messere e la damigella sino al valico montagnoso del San Gottardo, dove verrai spogliato del tuo fardello e potrai tornare al castello. Qui verrai ricevuto con tutti gli onori. Per onorare il tuo valore” e si è alzato in piedi, “verrai insignito del titolo di cavaliere reale. La spada, ciambellano.”
Da dietro il trono regale è apparso un signore con un cuscino rosso tra le mani e sopra una spada.
Messer Goffredo” e ha appoggiato la lama sulla sua spalla destra, “che il nobile nome della mia dinastia ti accompagni in questa perigliosa impresa” e gli ha toccato la spalla sinistra.
Lo valore non mi mancherà, sire, et prometto spirito di guerriero et temperantia da monaco.”
Che il regno del Rabadan ti protegga” e ha riconsegnato l'arma al ciambellano. “Ora alzati, Goffredo, e cammina come uomo coraggioso in queste lande tristi e desolate.”
Lo farò.”
Il sovrano si è congedato, Goffredo si è avvicinato a noi.
Il dì designato per la partenza est domani, al sorger del sole. Rimembrate di dormire, non ci sarà occasion di riposare una volta fuor dalle mura” e se ne è andato.
Preparo lo zaino.

Nonostante le parole della nostra nuova guardia del corpo, dubito che riuscirò a chiudere occhio stanotte.