Ho
appena finito di cenare con Viola: due scatolette di mais e
altrettante di tonno riversate in due gamelle militari e gustate
nell'oscurità di una catapecchia di Ligornetto, dove ci siamo
rifugiati. E dove ho passato tre quarti della giornata, a dirla
tutta.
Alle
prime luci dell'alba abbiamo radunato su una coperta stesa per terra
quello che siamo riusciti a racimolare tra gli scaffali del Military
Megastore: funi, mantelli in PVC, bengala, un paio di gamelle,
coperte, tronchesi, una picozza, un fornelletto da campo e una pala
pieghevole. Abbiamo caricato tutto in due sacche: una grande (la mia)
e una piccola, a tracolla, per lei. Io mi sono anche attrezzato con
un nuovo paio di scarponi, dei calzoni termici e un'ascia leggera con
in più sei coltelli che mi sono infilato in ogni tasca. Anche Viola
ne ha presi un bel po' e si è riempita una cartucciera di cuoio che
ha trovato dietro al bancone.
“Utili
da ficcare in testa a chi si avvicina troppo”, mi ha detto prima di
estrarne uno e aprirlo in due colpi di polso.
Ho
fatto un passo indietro.
Si
riferisce a me o agli zombie?
Ci
siamo allontanati dal negozio per la stessa via dalla quale ero
arrivato, ma almeno stavolta non ho dovuto scavalcare le ramine.
Abbiamo tagliato ancora una volta per boschi e campi e raggiunto
Genestrerio; ci siamo fermati in mezzo a un campo e ho dispiegato la
cartina su una staccionata.
“Noi
siamo qui, ci conviene muoverci a ovest prima di puntare a nord” le
ho detto puntando il dito sulla carta.
“E
Mendrisio, a est?”
“Ma
sei pazza? Ho visto le foto delle strade da quella parte, non ce la
faremmo mai.”
Lei
ha alzato le spalle ed è andata avanti.
Marciare
con Viola è sicuro ed estenuante al tempo stesso: è ultraprudente,
controlla ogni angolo e ogni insenatura prima di percorrere una
strada o un sentiero. La cosa alla lunga annoia, ma almeno non
rischio la pelle a ogni metro.
Giunti
a Ligornetto siamo entrati in due villette, fortunatamente vuote. La
parte sud del paese sembrava esser stata abbandonata.
“Dobbiamo
procurarci delle provviste, prima di proseguire” ha detto.
L'elettricità sembrava esser saltata da diversi giorni, nei
frigoriferi non c'era nulla di utile. E nelle dispense, scatolette e
poco più.
In
una terza abitazione ha sigillato finestre e porte e mi ha ordinato
di sistemare le mie cose, che avremmo passato lì la notte.
“Ma
sono appena le 13, abbiamo ancora tempo per arrivare più a nord, a
Besazio almeno.”
Lei
mi ha gelato con uno sguardo. “Tu stai qui, io vado in
perlustrazione.”
Ho
fatto come ha detto, ma sono sicuro che abbia tenuto gli occhi
puntati più verso est e Castel San Pietro, che verso il lago di
Lugano. Ma non ho detto niente: è tornata attorno alle 17 e 30 e per
tutta la sera ci siamo scambiati appena qualche parola.
“Il
piano per domani?” le ho chiesto alla fine della cena, quando ci
siamo aperti una scatoletta di pere come dessert.
“Proseguiamo
per Rancate, ma con cautela.”
“Rancate
ha più di 1500 abitanti e confina con Mendrisio: rischiamo troppo. Ci conviene
salire a Besazio, per poi muoverci verso Meride.”
“Non
ho chiesto il tuo parere. È
così e basta.”
Ho
mandato giù un ultimo boccone di pere, ma erano amare. E non son
sicuro che fosse colpa della scatoletta.
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