Scrivo
solo ora perché il blackout in Ticino sembra generalizzato. Le spine
elettriche sono morte in tutte le case, per fortuna siamo riusciti a
rifugiarci in una casa Minergie con i pannelli ancora funzionanti. Ci
stiamo muovendo da tre giorni, ma non possiamo fare spostamenti
troppo lunghi. Colpa della mia caviglia.
Dopo
aver trascorso la notte sugli alberi, Viola e Massi sono scesi dai
loro rami con l'agilità di un gatto (lei) e di uno stambecco (lui).
“Recluta,
muoversi.”
Mi
sono sporto sul ramo indeciso se saltare o meno, poi mi sono lasciato
cadere con la grazia di un elefante marino. Su una radice. La
caviglia mi ha spedito nel cervello una scossa elettrica. Ho stretto
i denti.
“Che
c'è, che hai?” mi ha chiesto Viola.
“Niente,
niente. Andiamo.”
Abbiamo
camminato per tutta la mattina fino ad arrivare a Meride. Abbiamo
trovato una casa più isolata delle altre, la porta era aperta. Siamo
entrati nella cucina adiacente l'entrata e loro due hanno prelevato
un coltello a testa da un ceppo di legno.
“Andiamo
in perlustrazione, stai qui.”
Sentivo
il gonfiore crescere. “Non mi muovo.”
Sono
tornati dopo dieci minuti. Massi aveva le mani sporche di sangue.
“Trovato
qualcuno?” gli ho chiesto.
Ha
alzato le spalle. “Due bambini. Teschi molli come plastilina e
denti ancora da latte. Non ci ho mosso niente.”
Viola
ha scosso la testa. “E tu, perché sei sudato?”
Mi
sono passato la mano sulla fronte. “No, niente... Solo che...”
“Ci
sono problemi, recluta?” ha chiesto Massi, piegando la testa.
Lei
mi ha guardato da capo a piedi. “Sei ferito” ha detto
avvicinandosi.
“Ma
no, è solo una botta... Solo una bruttaAAAAAAAHHHH!”
Viola
aveva puntato la punta del piede sulla mia caviglia. “Strambata,
eh?” e l'ha levato.
Ho
ripreso a respirare, i brividi che mi sconquassavano i muscoli.
Anche
Massi si è fatto più vicino, una smorfia di disgusto sul volto.
“Proprio un bel cazzo di tempismo, recluta. MA PORCA PUTTANA!” e
ha sfondato un armadietto con un calcio.
Quel
pomeriggio abbiamo contato le munizioni: a Viola era rimasta una
freccia, Massi mezzo caricatore per il Fas 90, un fumogeno e due
granate. Io avevo l'ascia. La sera l'abbiamo trascorsa in silenzio,
masticando. In casa c'era un bel po' di scatolame, sei porzioni di
fondue pronte per le vacanze natalizie e un pacchetto di otto
piattini con quel combustibile blu da mettere sotto il caquelon.
Ma non ci ha tirato su molto il morale.
Il
giorno dopo Viola e Massi sono andati in perlustrazione, io chiuso in
casa come un bambino in affido. Verso sera abbiamo cambiato casa, e
così abbiamo fatto anche domenica e stamattina. Siamo sempre rimasti
a Meride: percorrere più di poche decine di metri era rischioso. O
meglio: con me in versione zoppetto, era rischioso.
Per
fortuna che in quest'ultima sistemazione ho trovato un po' di crema
per la caviglia dietro lo specchio del bagno e dell'energia elettrica
grazie ai pannelli solari installati sul tetto, così ho potuto
collegare il PC.
“Notizie
dal mondo esterno?” ha chiesto Viola.
Ho
fatto di no con la testa. “Tutte le persone contattate via e-mail
non mi hanno più scritto, e anche il tizio alla radio non ha
risposto. Più si va avanti, e più va peggio.”
“E
per finire in bellezza” è intervenuto Massi, “abbiamo un
migliaio di zombie sparpagliati nei boschi circostanti, uno storpio
nel gruppo e un cazzo di paese in cui le armi più pericolose
custodite in case sono dei rastrelli. Fottuti rastrelli arrugginiti.”
“Perlomeno
non hanno i denti in plastica” ho detto io.
Ma
nessuno ha riso.
Massi
si è alzato in piedi. “Vado a svuotare il merlo” e se ne è
andato grattandosi il culo.
“Domani
pensi di riuscire a camminare?” mi ha chiesto Viola.
“Penso
di sì. In ogni caso, ha ragione.”
“Sulla
faccenda dello storpio?”
“Sssì,
ma soprattutto sulla prima cosa. Dobbiamo muoverci, rimanere fermi
non ci è di aiuto.”
“Hai
in mente qualcosa?”
Non
ho risposto, ma un'idea ce l'ho.
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