Siamo
arrivati a Ronchetto poco dopo le nove, sul lato nord-ovest di
Rancate. Campi e prati erano sgombri.
“Ascoltami”
mi ha detto Viola inginocchiandosi, “rapido e silenzioso, tagliamo
il paese per il centro e spuntiamo dall'altra parte.”
“Ascoltami
tu, è una cattiva idea.”
“Rapido
e silenzioso” e ha digrignato i denti.
L'ho seguita. L'unica volta che ero stato a Rancate era con la scuola, alla Pinacoteca Züst, e me lo ricordavo quel vicolo stretto davanti al quale l'autista dell'autobus ha bestemmiato per dieci minuti, prima di passare senza lasciarci gli specchietti...
Una
volta in piazza Santo Stefano abbiamo visto il primo morto vivente,
un'anziana ingobbita con ancora il velo sulla testa e il rosario tra
le dita che usciva dalla chiesa.
“Lasciala
a me” ha detto lei prima di incoccare una freccia.
Dalla
porta della pinacoteca ne sono però usciti altri cinque, tutti con
giacche in tweed e fazzoletti multicolori nel taschino.
“Viola,
ce ne sono altri.”
“Un
attimo soltanto.”
Ha
traforato la testa della vecchietta e si è voltata per mirare agli
ormai ex amanti dell'arte, ma dalla chiesa ne sono saltati fuori
quattro e da due viottoli altri dieci.
“Viola...” ho detto con tono tremolante.
“Mi
vuoi dare una mano o cosa?”
Sono
corso verso il museo con ascia e piccozza sguainate: al primo ho
tagliato la testa (questa lama sì che funzionava, altro che
falcetto) e al secondo ho sfondato il cranio con un affondo
dall'alto. Ho spinto gli altri tre a terra e li ho finiti con i
tacchi in acciaio dei miei nuovi scarponi. Mi sono voltato: una
dozzina di morti viventi le erano già addosso.
“Attenta!”
Ha
provato a prendere una freccia dalla faretra ma era vuota.
“Recuperamele, mentre li tengo a bada!”
Ha
estratto due coltelli e ha iniziato a perforare tempie. Sono corso
all'entrata della chiesa e ho estratto più frecce che potevo dalle
teste dei cadaveri. Alla fine ne avevo sette od otto in mano e Viola
era riuscita a liberarsi di una mezza dozzina di morti viventi, ma ne
stavano arrivando da tutte le parti.
“Ritirata!”
mi ha gridato e siamo corsi lungo una strada che ci ha portato in
quel fottuto viottolo.
Alle
spalle avevamo un'orda di zombie, davanti un altro bel comitato di
benvenuto.
“La
porta!” ho urlato.
Ci
siamo spostati verso il muro di destra e mi sono lanciato contro
l'uscio con una spallata, ma sembrava rinforzata. Ho preso l'ascia e
l'ho abbattuta sulla maniglia che è saltata in aria, ma niente da
fare: doveva esserci un chiavistello interno.
“Cristiano,
qui!”
Ci
siamo messi schiena contro schiena mentre quei bastardi si
avvicinavano: Viola ha tirato le frecce che le rimanevano e ne ha
fatti secchi sei o sette, ma rimanevano gli altri trenta e rotti. Si
è messa l'arco a tracolla e ha ripreso in mano i coltelli. Ha appoggiato le spalle alle mie.
“Rimaniamo
uniti, ce la possiamo fare.”
Ho
stretto le mani sulle armi e soprattutto i denti. Abbiamo buttati giù
i primi tre o quattro, ma dopo una trentina di secondi il grosso del gruppo ci era già
quasi tutto addosso.
“Aaah,
i capelli!”
Mi
sono girato: uno zombie aveva preso per i capelli Viola e la stava
tirando a sé. Con un colpo secco di ascia gli ho mozzato il braccio
all'altezza del bicipite, ma ne ho sentiti due afferrarmi per il retro della giacca e ho dovuto lasciare tutto a terra per liberarmi con due
gomitate ed estrarre i coltelli dalle tasche per finirli.
“A
terra, buttatevi a terra!” ho sentito gridare. Era la voce di un
uomo.
Non
ci ho pensato due volte. “Viola, giù!” e mi sono abbassato.
“Che
cazzo fai, continua a combattere! Ce la possiamo fa–”
Mi
sono allungato e ho afferrato il braccio mozzato dello zombie ancora attaccato ai capelli,
trascinando a terra la chioma di Viola e tutto il resto; è partita
una raffica di proiettili che ha falcidiato una decina di zombie, i
loro corpi che ci cadevano intorno. A un paio di metri da me è
atterrato un pacchetto bianco grande come un pugno con una miccia
accesa.
Questo
l'ho già visto a scuola reclute.
“Scappate
da questa parte!” e questa volta ho sentito chiaro e forte da dove
arrivava la voce: dovevamo correre verso nord. Un'altra raffica si è
abbattuta sui morti viventi e dal pacchetto è sprigionato un fumo
bianco. Ho tirato su Viola e siamo corsi via, verso il nostro
salvatore.
Proseguo
più tardi, è ora di cena.
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