La
notte è trascorsa lenta e pesante. Sta piovendo ora, o nevicando,
non lo so: tutti i finestrini del Saab 2000 sono coperti dalla neve,
ma l'importante è essere riusciti a resistere al freddo sino a
stamattina. E a esser riusciti a tornare all'aeroporto, dopo quello
che ci è capitato ad Agno.
Ci
siamo mossi mercoledì mattina, destinazione armeria Bianchi. Ci
siamo mossi prima verso ovest per valutare se vi era la possibilità
di attraversare la cantonale, ma lì era peggio dell'autostrada –
sembrava che al momento del contagio, tutto il mondo volesse
raggiungere la dogana di Ponte Tresa. Me li vedo, i 60 mila
frontalieri che fanno dietrofront tutti insieme. E potevo solo
immaginare l'imbottigliamento che c'era all'altezza dell'incrocio
infame, quello della svolta verso Serocca e Bioggio.
Abbiamo
fatto dietrofront e siamo passati dai campi dietro gli hangar
dell'aeroporto, per poi tagliare verso ovest e convergere a sud
attraverso boschi e vigneti, così da avvicinarci al nucleo di Agno.
Le strade erano tranquille, tutti gli zombie dovevano essere attorno
alle strade principale. A un certo punto mi sono fermato e ci siamo
acquattati dietro a un muro.
“La
vedete quella porta bianca? Quella dell'edificio color ocra” ho
sussurrato a Massi e Viola.
“Ocra?
Che cazzo di colore è l'ocra?” mi ha chiesto Massi.
Viola
ha sbuffato. “Quello giallo.”
“Ecco”,
ho ripreso io, “quella è la porta sul retro dell'armeria.”
“E
allora che aspettiamo? Andiamo là e ci prendiamo quello di cui
abbiamo bisogno!”
Massi
è scattato in avanti e io e Viola l'abbiamo seguito a mezzi passi,
guardandoci intorno. Lui ha raggiunto l'edificio, si è sporto
all'indietro e ha abbattuto la spalla sulla porta. Niente. Ha
riprovato due o tre volte, ma non si muoveva di un millimetro.
Intanto, io e Viola abbiamo ispezionato la finestra, ma aveva delle
sbarre d'acciaio ed era impossibile da forzare.
“Cazzo,
è rinforzata. Fatevi indietro” e ha imbracciato il fucile,
puntandolo verso la serratura.
“Massi
no, succede un casin–” ma una raffica mi ha interrotto.
Massi
ha provato ancora ad aprirla con un calcio, senza riuscirci.
“Porca
puttana!” ha esclamato.
“Porca
puttana!” ho ripetuto io, ma non per la porta. “Stanno
arrivando.”
Dalla
sinistra un gruppo di zombie si stava facendo avanti, e anche da
destra ce n'erano un paio diretti verso noi.
“Torniamo
indietro, subito” ha ordinato Viola, ma anche sulla via di fuga
c'era una mezza dozzina di morti viventi.
“Seguitemi”
ha detto Massi, aprendo il fuoco verso di loro. Ne ha fatti secchi un
paio, ma dietro ne stavano arrivando un mucchio d'altri – la strada
del nucleo era ormai intasata. In più, i colpi avevano eccitato gli
altri che ora si muovevano più veloci. Lui ha estratto le spade.
“Venite, merdosi, venite a prenderle!”
“Smettila
Massi, non ce la faremo mai” ha urlato Viola e ha fatto un paio di
passi a lato, sulla destra: c'era una finestra bassa senza
protezioni. Ha sferrato due calci bassi e ha sfondato il vetro. “Di
qua, muovetevi!” e si è infilata nel locale. Io e Massi l'abbiamo
seguita. “Gli scaffali, presto!”
Io
e lui ci siamo messi ai lati di due mobili in compensato stile Ikea,
ma abbastanza alti da coprire l'apertura.
Li
abbiamo piazzati davanti alla finestra e abbiamo spinto con le mani
sui ripiani, per reggere l'urto. I versi degli zombie si facevano
sempre più vicini, e a poco a poco la pressione si è fatta sempre
più forte. Viola ha spinto una cassettiera in metallo con sotto le
rotelle fino alle librerie, poi ci ha aggiunto due poltrone in pelle
con base in acciaio. Tutti e tre ci siamo seduti a terra, con la
schiena contro i mobili. Sembrava tenere, anche se la spinta non
diminuiva e a ogni colpo qualcosa cadeva dallo scaffale: un barattolo
di gel, una soluzione per una tinta, dei pettini di plastica. Solo in
quel momento ho notato che Viola si era tagliata a una gamba col
vetro della finestra.
“Viola”,
ho sussurrato, “ma tu sei ferit–”
“Lascia
perdere, non è niente. Preoccupiamoci piuttosto di quelli” e ha
accennato alla vetrina principale.
Ho
alzato di qualche centimetro il collo per poi riabbassare subito la
testa: la strada era infestata di zombie e tra noi e loro c'era solo
un vetro con scritto “Salone Patty”. Se ci vedevano, eravamo
fatti.
“E
adesso cosa facciamo?” ho chiesto.
Massi
è rimasto in silenzio, Viola ha raccolto una bottiglietta da terra:
doveva essere una specie di soluzione alcolica per disinfettare i
rasoi. L'ha stappata e se l'è rovesciata sulla gamba. Ha teso le
mascelle e preso un lungo respiro. “Aspettiamo. Un'idea ci verrà.”
Proseguo
dopo, ora ci prepariamo qualcosa da mangiare.
0 commenti: