Stamattina
Veronica ha cambiato la fasciatura a Goffredo per l'ennesima volta.
“L'infezione
è sotto controllo?” le ho chiesto. “Pensi che potrà camminare?”
Ha
annuito due volte. A quel punto, d'accordo con Viola, siamo andati da
Bruno per congedarci. Lui e sua figlia sapevano di Zurigo e del
nostro viaggio per il San Gottardo, probabilmente se lo aspettavano
che saremmo ripartiti nel giro di pochi giorni. Quelle che non ci
aspettavamo, invece, sono state le sue parole.
“Veniamo
anche noi.”
Sono
rimasto a bocca aperta fino a quando è intervenuta Viola.
“Ne
siete sicuri? Qui siete sistemati abbastanza bene, considerata la
situazione a valle.”
“Non
abbiamo dubbi. Meglio andare incontro alla fine tentando il tutto per
tutto, piuttosto che attenderla in cima a un campanile.”
Aveva
ragione, e si vedeva che lo faceva la figlia.
Abbiamo
riorganizzato i bagagli e fatto un piccolo inventario: Bruno ha
ancora 27 proiettili per la carabina, Viola dispone di una ventina di
frecce e io sono sempre e solo fornito di coltelli. Goffredo ha il
braccio a tracolla, il suo mazzafrusto è destinato a rimanere fermo
ancora per un bel po'. Veronica ha messo in una valigetta da pronto
soccorso tutto quello che le era rimasto e l'ha infilata nello zaino.
Provviste: abbastanza per sette-otto giorni, dal quarto in avanti
sarà meglio razionarlo. Materiali: coperte di lana grezza, teli
impermeabili e mimetici, pelli e un paio di giacconi, corde...
Insomma, tutto quello che Bruno utilizzava per appostarsi nei giorni
di caccia alta.
Siamo
partiti alle undici, abbiamo seguito il vecchio sentiero onsernonese
sulla costa est dell'Isorno e siamo arrivati a Loco; da lì abbiamo
seguito il passo della Garina e siamo giunti sul monte Salmone.
Considerato
il punto in cui eravamo arrivati ero fiducioso di poter raggiungere
Airolo e il massiccio del San Gottardo in due, massimo tre giorni di
cammino, ma la neve ad alta quota ci sta rallentando più del previsto.
Non pensavo ne fosse caduta così tanta, nel corso dell'inverno. E
più andremo verso nord, più sarà peggio.
A
ben guardare si tratta tuttavia di un vantaggio, visto che il manto
candido che copre prati e radure ci permette di individuare le orme
di zombie e di eventuali animali di passaggio. Ne abbiamo viste
alcune, durante la salita, ma Bruno ha detto che sono ormai vecchie
di giorni.
Questa
marcia scevra di minacce sembra aver tramutato la spedizione in una
gita fuori porta. Il nervosismo degli scorsi giorni è scomparso e
tutti si concentrano sul paesaggio e sul cammino, piuttosto che su un
possibile attacco da parte dei morti viventi.
Al
calare della sera ci siamo rifugiati in una rientranza della parete
rocciosa del monte. Goffredo era inginocchiato ad accendere il fuoco,
Viola e Veronica preparavano il campo, io e Bruno ci siamo fermati un
minuto a osservare il sole tramontare.
“Sai,
mio padre mi raccontava sempre una storia su questo posto.”
“Quale?”
“La
chiamava 'la leggenda del suu
in cadrega'. Diceva che due volte l'anno, in occasione degli
equinozi, il sole si immobilizza all'orizzonte, come a volersi
riposare dei suoi mille viaggi. Sosteneva che se in uno di quei
giorno il sole non si fosse fermato in mezzo al cielo, il mondo
sarebbe finito.”
“Bella
sfiga” e ho sputato per terra.
“Che
cosa?”
“Non
essere arrivati qua tre giorni fa. Almeno potevamo vedere se il tuo
vecchio aveva ragione.”
“Già,
già... Ma forse avevano ragione anche i Maya. Non erano loro a dire
che a dicembre la civiltà sarebbe crollata o qualcosa del genere?”
“Il
21 dicembre, sì.”
“Allora
ci avevano azzeccato” e ha fatto di sì con la testa.
“A
dire il vero parlavano del 21 dicembre 2012.”
“Be'”
e Bruno ha alzato le spalle, “non hanno poi sbagliato di molto.”
“Considerato
l'anticipo con cui ci sono arrivati...” e mi sono morso un labbro.
“Sì, non è molto.”
Siamo
tornati al campo, la cena era quasi pronta. Domani ripartiremo.
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