Goffredo
è più prudente di quanto pensassi.
Per
due giorni abbiamo atteso a Monte Carasso, diceva che non era il
momento di mettersi in marcia. Non ha mai aggiunto spiegazioni, così
non ci è rimasto che perlustrare alcune abitazioni isolate e
recuperare qualche provvista e delle bottiglie d'acqua.
Ieri
finalmente abbiamo costeggiato il piano di Magadino, ma abbiamo
camminato solo per un paio d'ore – se ne potevano fare molte di
più. Superato Gudo, all'altezza di Cugnasco ci siamo diretti verso
nord e abbiamo dormito in una casetta poco distante dal sanatorio di
Medoscio, non prima di aver tirato intorno all'edificio un po' di
funi così da bloccare eventuali attacchi zombie. Abbiamo trascorso
una notte tranquilla, ma oso solo immaginare quanti morti viventi si
annidino tra i corridoi di quei due palazzoni. Certo, non è molto
diverso da qualche mese fa, quando nella struttura giravano solo
vandali, tossici e pseudo-satanisti.
Stamattina
siamo ripartiti e io e Viola abbiamo lasciato Goffredo prendersi
qualche metro di vantaggio.
“Secondo
me ci sta ripensando” le ho sussurrato, “ha paura di allontanarsi
troppo dal castello e perde tempo”.
“Anche
io ho notato qualcosa di strano”, ha detto annuendo, “sembra
voler evitare il contatto diretto con loro”.
“Tipo
che fa tanto il figo medievale ma in fondo ha paura?”
“Tipo,
sì”.
Ma
questo è stato prima di arrivare alla diga della Verzasca.
L'abbiamo
vista spuntare da dietro un albero dopo aver attraversato l'ennesimo
bosco. Io e Viola abbiamo tirato fuori i binocoli e Goffredo si è
fatto di lato, sbuffando.
“Codesti
vetri son superflui” ha mormorato, ma lo abbiamo ignorato.
La
corona della diga era affollata di zombie, almeno un'ottantina a
occhio e croce. Lungo la parete, un centinaio di metri più in basso,
c'era un uomo appeso all'elastico che penzolava e muoveva le braccia.
“Pensi
sia vivo?” ho chiesto a Viola.
“Lo
dubito, altrimenti avrebbe provato a staccarsi. Si vede che si stava
preparando al lancio ed è stato morso”.
“Certo
è che di lì non si passa. Forse potremmo trovare una strada
alternativa al di sotto della diga, che ne dici Goffredo?”
Silenzio.
Ho abbassato il binocolo e mi sono voltato: non c'era più.
“Dov'è
andato?”
Viola
ha scosso la testa e un urlo proveniente dalla diga ci ha raggiunto.
Lei ha risollevato il binocolo.
“Guarda!”
Ho
messo a fuoco: Goffredo era all'inizio della corona e stava
fronteggiando l'intero gruppo di zombie da solo. Roteava il
mazzafrusto sopra la testa a una velocità micidiale e abbatteva la
palla di piombo sulle teste di chi osava farsi avanti. Con quelli più
vicini allo strapiombo, invece, si limitava a buttarli giù con calci
o spallate, e questo senza mai interrompere gli attacchi con l'arma.
“Muoviamoci,
andiamo!” ha urlato Viola che aveva già incoccato una freccia
nell'arco.
Siamo
corsi verso di lui con un sottofondo di versi gutturali e teste che
venivano maciullate, ma quando lo abbiamo raggiunto la piattaforma
era già ridotta a un cimitero con una cinquantina di corpi
decapitati a terra.
“Orsù,
plebaglia, avanziamo sine esitazione”.
“Ma...
Come hai fatto?” gli ho chiesto.
Lui
ha trattenuto il bastone del mazzafrusto sotto l'ascella e ha
estratto uno straccio dalla tasca: lo ha passato sulla palla e si è
mosso in avanti senza dire niente. Prima di superare la diga,
tuttavia, si è diretto verso la piattaforma del bungee jumping e ha
sfilato un pugnale che teneva a tracolla. Con un colpo secco ha
tagliato l'elastico e abbiamo sentito lo zombie appeso schiantarsi a
terra.
“Creature
diaboliche, l'inferno vi brucerà le carni ad aeternum” ed è
ripartito. Anziché dirigersi verso Mergoscia e il nord, abbiamo
svoltato a sinistra e ci siamo rifugiati in una casa ai confini di
Contra.
Non
mi permetto però di dire più nulla.
Il
ragazzo sa il fatto suo e val la pena fidarsi.
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