La
giornata di ieri non me la dimenticherò mai.
Io,
Viola e Jack siamo stati portati davanti a un trono vuoto e obbligati
a inginocchiarci con una picca puntata al collo. A quel punto due
trombettieri hanno dato fiato agli strumenti ed è entrato
nientepopodimeno che re Rabadan – baffetti fini, corona rossa
dorata, in mano scettro e chiave d'oro della città. Allora ci
trovavamo... A Bellinzona, nel castello!
“Stranieri,
siete stati sorpresi a piede libero nel mio regno. Come vi
giustificate?”
Ci
stava giudicando!
“Sua...
Sua Eccellenza” ho mormorato tenendo gli occhi bassi, “posso
spiegarle” e ho iniziato a raccontargli la nostra strada sino a là.
Lui
si accarezzava il mento, ci osservava, si lisciava i baffetti. “E
quindi non avete saputo nulla del regno di re Rabadan, in tutti
questi giorni?”
Abbiamo
scosso la testa, in contemporanea.
“Goffredo!”
ha gridato.
Da
dietro un angolo è spuntato l'uomo col barbone, la guardia che mi ha
tenuto d'occhio durante la prigionia. Si è avvicinato a lunghi
passi, si è levato l'elmo a una decina di metri dal trono e si è
inginocchiato davanti al re.
“Lo
suo suddito, sire”.
“Goffredo,
i tre prigionieri sono ora liberi per parola del re. Rimarranno
tuttavia sotto la tua tutela”.
“Ho
udito, li stranieri nulla avran da temere ne li suoi possedimenti,
sire”.
“Bene,
e così sia. Riguardo alla giornata di oggi...”
“...
un giro del castello?” sono intervenuto.
Goffredo
si è voltato di scatto. “Niuno osa interrompere lo sire nostro re,
stolto villico!”
Il
re si è alzato in piedi e si è allontanato di qualche passo. “Oggi
nessuna visita, oggi si festeggia”.
“Che
cosa?” ha domandato Viola.
Lui
si è girato. “Che domande... Il martedì grasso! Goffredo vi
mostrerà il castello più in là, con tutta calma. E non temete, qui
sarete sempre al sicuro dalla minaccia dei morti là fuori
imperante”.
Che
serata che è stata, quella di ieri. Roba da far abbattere il
capannone di Piazza Sole, veramente. C'erano musicisti in ogni sala,
tavole imbandite, coppe colmo di vino aromatizzato e addolcito, balli
di gruppo e di coppia... E poi c'era Viola. Aveva bruciato un pezzo
di sughero con una torcia e si era dipinto il naso di nero, tirando
tre linee dritte su ognuna delle guance.
“Se
tu sei il topo...” le ho detto avvicinandola con due calici in
mano.
“Gatta,
per la precisione. Predatrice” e ha ingollato in un sorso due
decilitri buoni di vino prima di andarsene.
L'ho
inseguita e tampinata per più sale, finché mi ha concesso un ballo, e uno solo. “Ma se alzi
le dita al di sopra dell'ombelico, te le spezzo”.
Sembravo
un pinguino a ballare così, ma tanto mi bastava. Sfiorarla, poterne
sentire l'odore, fissarla negli occhi senza dovermi preoccupare di
qualche zombie alle spalle... Non volevo niente di più.
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