Ci
hanno fregato come dei pivellini.
Presi
alle spalle, ci hanno stordito con un colpo ben assestato dietro le
orecchie e ci hanno insacchettato le teste, per poi legarci le mani
dietro alla schiena. Ci hanno fatti camminare tutti e tre per non so
quanti chilometri, pungolati ai fianchi da bastoni aguzzi. E a ogni
lamento, SCIAF, una scudisciata sulla spalla destra.
Mi
sono lamentato molto poco durante il tragitto.
Ora
mi trovo in una cella in pietra con la compagnia di una panca e tanta
umidità. Non so dove sono gli altri, siamo stati separati. E dove
sono, proprio non lo so. So solo che mi hanno fatto trovare il mio
zaino all'interno della prigione e che il tizio qui fuori di guardia
va in giro con stivali di pelle marrone, braghe e una cotta di maglia
indossata su una maglia giallo zafferano con sopra impresso un
castello rosso...
Aspetta,
questo mi ricorda qualcosa.
Il
tizio ha un barbone che gli copre più di metà della faccia, fino a
ora non ha proferito una sola parola. Porta uno spadone alla cintola,
e a giudicare dalla grandezza delle sue mani sa come usarla per bene.
Non credo abbia bisogno di argomenti aggiuntivi.
La
porta della mia prigione è in legno, con un'inferriata grande come
un palmo di mano all'altezza del petto, riempita da sbarre nere in
ferro battuto. I corridoi sono illuminati da torce appese al muro, i
pavimenti sono in nuda roccia. Sembra di essere nel Medioevo. E se è
così, o è rogo, o è decapitazione.
O
peggio: tortura.
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