Abbiamo
trovato un'altra casa Minergie a Camorino, i pannelli sono OK e hanno
catturato abbastanza sole da darci un po' di libertà. Come quella di
mangiare qualcosa di caldo, dopo quasi 72 ore fatte di fagioli freddi
in salsa di pomodoro semi-ghiacciata. E quella di riprendere il
racconto.
Massi
ha camminato con lo Zippo in mano fino a un armadietto sistemato in
un angolo del garage e ha preso una chiave e una torcia. Ha
perlustrato il resto del locale a caccia di eventuali sorprese, poi è
salito sul Duro e ha acceso i fari. Il corpo a terra era di un
militare, aveva un fianco smangiato fino alla colonna vertebrale e la
testa non stava tanto meglio. Massi ci era andato giù duro, coi
pugni.
Quando
è sceso dalla cabina del veicolo, ha detto:
“Viola,
tu controlla la saracinesca. Io e la recluta andiamo a prelevare il
plastico, sta proprio qui dietro.”
L'ho
seguito attraverso un corridoio stretto e siamo entrati in uno
stanzino vuoto che sapeva di muffa e umido, alle pareti solo degli
scaffali di legno mezzo marcio.
“Ora
ascoltami bene, recluta, ti spiegherò come si prepara una carica di
esplosivo e come si aziona un detonatore. Non lo ripeterò due volte,
quindi presta attenzione.”
“Mah...”
ho detto aggrottando la fronte, “non c'è tempo, me lo spiegherai
dopo. Dobbiamo andare!”
Lui
mi ha messo una mano sulla spalla, ma non per stritolarmela come
temevo. Sembrava più la pacca di un amico.
“Ascoltami
Cristiano, non ho molto tempo. Veramente.”
Si
è voltato e mi ha rivolto la schiena. La giacca della mimetica era
macchiata di sangue anche all'altezza della sua spalla sinistra,
vicino al colletto. E quando se l'è tolta per rimanere solo con la
canottiera addosso, vicino a un'aquila tatuata con la scritta “Semper
Fi” in gotico, è apparsa l'ultima cosa che mi aspettavo di vedere.
“Ma
quello è... un...”
“Esatto,
quel figlio di puttana mi ha preso quando siamo entrati nel garage”
e si è massaggiato la ferita rossastra a forma di ovale con la mano
destra. “Quindi, te lo ripeto: c'è poco tempo. Ascoltami e stai
attento.”
Ho
ascoltato quello che aveva da dirmi, mentre lo vedevo sudare sempre
più. Eppure là dentro ci saranno stati 18, 20 gradi al massimo.
Siamo
tornati al garage, ora il rumore degli zombie contro le lamiere era
talmente forte che dovevamo urlare per capirci. Massi mi ha spedito
sul sedile del passeggero nella cabina del Duro accanto a Viola e le
ha ordinato di accendere il motore.
“Sali
anche tu” gli ha gridato lei, “Sfondiamo la saracinesca col
camion, reggerà!”
Lui
ha scosso la testa. “Non avete abbastanza potenza. Non
preoccupatevi: alzo la saracinesca di colpo, voi avanzate e io salgo
sul retro. Affetto un paio di inseguitori e impallino anche qualcuno
degli altri.”
Lei
ha annuito. “Va bene, ma sta' attento.”
Io
sapevo, e non potevo dire nulla.
Massi
ha sollevato la saracinesca con un piede, le spade strette nelle
mani. Viola è avanzata col Duro e ne ha travolti una ventina, ce ne
saranno stati un centinaio lì davanti ad aspettarci. Non appena ha
superato la linea della saracinesca con le ruote posteriori, ha
rallentato.
“Muoviti,
vieni!” ha urlato a Massi dal finestrino.
Ma
lui era troppo impegnato a passare la lama delle sue armi bianche nei
colli e nelle teste di quell'orda, senza prestare attenzione a noi.
“Viola,
lui non verrà.”
“Ma
che dici?!” ha detto voltandosi.
Abbiamo
sentito degli spari e abbiamo attaccato gli occhi agli specchietti
retrovisori: Massi aveva abbandonato le spade e aveva messo mano al
Fass 90, indietreggiando verso i magazzini munizioni.
“Massi
è stato morso, ha deciso di rimanere. Accelera, muoviamoci. Gli ho
promesso che lo avremmo fatto.”
Dopo
un paio di secondi di esitazione, Viola ha pigiato il pedale del gas.
Nel momento in cui abbiamo travolto il cancello d'accesso della
caserma di Isone, ci ha raggiunto il boato di un'esplosione. Alle
nostre spalle si stava formando una colonna di fumo, enorme pira
funeraria del buon sergente maggiore Massi. Ne avrà fatti fuori
almeno una cinquantina, con quel botto.
Il
miglior addio possibile, per uno come lui.
0 commenti: