Tra
tutti i modi in cui credevo avrei potuto perdere un compagno di
viaggio, oggi è successo qualcosa di imprevedibile. E inspiegabile,
a dirla tutta.
Ci
siamo diretti verso l'armeria di primo mattino, aiutati dal tempo che
finalmente si è fatto mite. Ci siamo avvicinati al nucleo di Taverne
per gradi, due passi in avanti e uno indietro, la testa in continua
rotazione a destra e a sinistra, a sinistra e a destra. La via Santa
Maria Maddalena era deserta – un altro motivo per essere ancor più
prudenti.
“Se
qualcosa può andar storto...” mormoravo in ricordo di Murphy,
forse l'unica legge ancora vigente sulla Terra.
E
invece siamo arrivati davanti all'armeria senza incontrare un
ostacolo, la via era del tutto libera. Il negozio non era stato
chiuso con la saracinesca, ma la porta di vetro era comunque
sbarrata.
“La
apro io, sarà un giochetto” ha detto Massi. “Viola, tu controlla
il lato in direzione nord, recluta, tu quell'altro. Farò meno rumore
possibile.”
“Perché
sei tu a entrare?” ho chiesto.
Lui
ha scosso la testa. “La conosci la differenza tra un Remington e un
Winchester?” Stavolta l'ho scossa io, la testa. “Ecco, appunto.”
“Però
almeno lasciami il fucile.”
Lui
ha trasformato gli occhi in due fessure. “Io il mio Fass non l'ho
mai dato nemmeno a mia madre”.
“Ma
è una questione di sicurezza. Viola ha il suo arco, un'arma a lunga
gittata. Se gli zombie dovessero sorprendermi, potrei rallentarli
solo nel corpo a corpo, verrei travolto e in pochi secondi ti
troveresti accerchiato. Dubito che il negozio abbia una porta sul
retro, così rischi di venir sovrastato anche tu. E in uno spazio
così ridotto, con uno di quei branchi, non avresti molto scampo. Te
la ricordi l'armeria di Agno, no? Nemmeno con tutte le armi presenti
là dentro ce la faresti.”
Mi
ha fissato per una decina di secondi buoni, poi mi ha allungato il
fucile. “Se gli fai qualcosa, io farò lo stesso a te. E non
sprecarmi le munizioni.”
Io
e Viola ci siamo messi in posizione, Massi si è avvolto la giacca
attorno al gomito e spaccato il vetro inferiore della porta. Il
rumore è stato minimo; è sgusciato dentro e ho tirato un respiro di
sollievo.
Un
solo respiro però, perché pochi istanti dopo ha iniziato a fare un
baccano della malora e ha pure infranto un grosso vetro, forse una
vetrinetta.
“Ma
che fa?” ho sussurrato a Viola. Lei ha alzato le spalle.
Poi
sono partiti due colpi di arma da fuoco – ho teso ogni muscolo, in
attesa. L'ondata ci ha messo poco a formarsi in fondo alla strada,
sono usciti tutti insieme dai vicoli.
Mi
sono voltato. “Viola, tra meno di due minuti ce li abbiamo
addosso.”
Lei
ha teso l'arco. “Sì, anche da me stanno arrivando. Chiama Massi,
dobbiamo muoverci.”
Sono
corso alla porta e ho bussato. “Dobbiamo andare, stanno arrivando!”
Lui
mi ha raggiunto con in mano un borsone colmo di roba, due fondine
sotto le ascelle, una al fianco e tre fucili a tracolla.
“Si
fa buona spesa qui dentro, ci devo tornare.”
Gli
ho piazzato la faccia a cinque centimetri dalla sua. “Ma perché
tutto quel casino, ci hai messo nella merda!”
Lui
ha fatto schioccare la lingua. “C'era ancora il gerente, mi si è
aggrappato alla schiena e non ho potuto estrarre le spade. Me la sono
cavata con un paio di pillole da 9 millimetri. Dai, andiamocene.”
Abbiamo
infilato una vietta laterale e siamo saliti lungo una scala,
raggiungendo la strada superiore, vicolo San Carlo. Quando mi sono
voltato, l'orda non era ancora in vista.
“Attento!”
mi ha gridato Viola e ho scansato all'ultimo secondo un morto vivente
che mi stava venendo addosso. Lei lo ha infilzato con una freccia
nell'orbita e ha fatto lo stesso con una donna vestita solo di una
gonnella e dai capelli rattrappiti. “Salite, presto. Io recupero le
frecce.”
Ho
preso il borsone dalle mani di Massi e insieme abbiamo iniziato a
fare la salita. Dopo una trentina di metri ci siamo voltati: Viola
stava sfilando il secondo dardo dal cervello della donna. A pochi
metri da lei stava arrivando un'altra mandria, preceduta da un
giovane dai capelli bruni e il ciuffo sparato all'insù che sembrava
avere una marcia in più. Lei ha teso l'arco in sua direzione.
Fa
fuori questo e ci raggiunge, ho pensato. Così ci leva di
mezzo la lepre del gruppo.
Ma
è rimasta immobile, la freccia incoccata. Lo zombie era a meno di
tre metri da lei. Cosa stava aspettando?
“Non
ce la fa, lo abbatto io!” ha detto Massi alzando il Fass, ma ho
tenuto giù la canna.
“Rischi
di colpirla!”
Il
rumore di due spari esplosi a qualche metro d'altezza si è propagato
nell'aria, lo zombie è crollato a terra. Abbiamo subito alzato la
testa verso il primo piano delle case nel vicolo.
“Ma
chi cazzo è stato?” ha detto Massi.
Intanto
l'orda si faceva sempre più vicina, Viola ancora immobile e con la
testa china verso il morto vivente abbattuto. Si è aperto un garage
alla sua sinistra, un rombo ha riempito la strada ed è spuntato
fuori un tizio in sella a una Harley-Davidson, con una mitragliatrice
Gatling montata sul davanti. Si è piazzato a mezzo metro da lei e ha
fatto fuoco: gli zombie sono caduti come birilli, dilaniati dalle
pallottole all'altezza del petto.
Quando
l'arma ha smesso di sputare piombo, l'uomo si è passato una mano sui
capelli. Erano grigi, lunghi fino alle spalle, un paio di treccine
annodate sulle tempie. Era sulla sessantina. Ha allungato una mano verso Viola ma non ho
capito cosa le ha detto, la canna rotante girava anche senza sperare
e faceva ancora troppo rumore.
Lei
è salita a bordo, l'uomo ha tirato il freno posteriore e ha girato
la moto sgommando, lasciando metà copertone posteriore sul selciato.
Ha accelerato e ci ha superato in velocità, montando la via in
salita. I morti viventi intanto stavano spuntando anche dalla
scalinata, dovevamo muoverci.
“E
ora cosa facciamo?” ho chiesto a Massi.
“Proseguiamo”
e ha dato una pacca ai tre fucili sulla schiena. “Con questi, non
abbiamo bisogno di nient'altro”.
Mentre
riflettevo su quelle parole e correvo dietro di lui, sentivo il rombo
della moto allontanarsi sempre di più. Fino a quando è scomparso.
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